Sono stati giorni terribili. Pessime notizie, una dopo l’altra. Mentre la terra tremava in Emilia e tanti operai rimanevano schiacciati dai capannoni industriali, venuti giù come castelli di carta, un’altra giovane donna amica è stata portata via dal maledetto cancro. Quattro anni di malattia vissuti con estrema riservatezza, tanto da aver scoperto per la prima volta che il mio approccio talvolta può infastidire, ed essere giustamente respinto, se si sceglie di percorrere una strada diversa.
Ho avuto una crisi di nervi, bruttissima, dolorosa, come lava che dopo tanto premere trova il cratere da cui eruttare.
Un battibecco che in un altro momento avrei fatto decantare è diventato quel cratere, e c’è stata l’esplosione.
Ora credo che sia stato un bene aver urlato, e poi pianto, e poi respirato in silenzio e solitudine per un po’. Ormai lo so che le lacrime devono essere piante, e la rabbia espressa e mai covata, per non dare tempo al dolore di annidarsi nel corpo, a far danni.
Ormai lo so.
So che forse dovrei proteggermi di più, e imparare a tenere i nervi coperti.
Ma io non ho mai indossato le corazze, nemmeno quando infuriava la battaglia.
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