Al mare abbiamo festeggiato i settant’anni di mio padre, e per l’occasione mi sono vestita carina e ho scoperto il capoccino con nonchalance, avendo perso l’orrendo colorito biancastro e incassato l’occhei convinto di Lula, che ogni mattina sosteneva di vedermi più capelluta. In spiaggia, dopo aver offerto susine ai daini della riserva e colonizzato uno dei capanni costruiti sulla spiaggia con i tronchi trasportati dalle mareggiate invernali, avevo provato l’ebbrezza di una vera nuotata, con immersione completa della testa.
Ieri abbiamo accompagnato Lula al suo primo campo estivo con il WWF, e devo ammettere che quando il pullman che li ha trasportati all’agriturismo è partito e lei, eccitata e contenta fino a pochi minuti prima, ci ha salutato con la manina trattenendo a stento le lacrime, mi sono commossa, e non ho osato togliermi gli occhiali da sole. Prima eravamo andati con lei a vedere il posto, e tentando d’inerpicarci sulla strada sterrata e ripidissima abbiamo pure bucato. Di domenica, con la prospettiva di dover tornare in autostrada con il ruotino di scorta a 80 km all’ora, è stata proprio una bella sfiga.
Tra poco mi telefonerà, poi se ne riparla domenica prossima, due giorni prima di andare a riprenderla. Dicono che è il modo migliore per facilitare il distacco e limitare gli attacchi di nostalgia.
Per fortuna non si è dimenticata di portare Ciccio, il suo gatto di peluche con cui dorme, fa colazione e va a fare la cacca. E poi ci sono due amiche e un compagno di classe. Ma sì, lei si divertirà un mondo.
Oggi sono tornata a lavorare, anche se stamattina ci stavo ripensando visto che il caldo, e forse un po’ di ansia materna, non mi avevano fatto dormire un granché. Invece mi ha fatto piacere, il comitato di accoglienza aveva anche preparato un’ottima torta di mele in mio onore, e non mi sono propriamente ammazzata dalla fatica. Avrò catalogato si e no tre libri, ma come primo giorno ci si può stare. Anche perché dovevo bonificare la mia intasatissima casella di posta e riprendere contatto con persone e cose.
Zeta mi aspetta lunedì prossimo, quando farà la notte in ospedale e nella quiete del reparto deserto (o quasi), potremo decidere cosa fare, adesso. Deciderà, dovrei dire. Ma il suo è una sorta di metodo socratico applicato alla medicina. Una maieutica oncologica. Questa cosa mi è venuta in mente adesso. Conoscendo i suoi interessi filosofici gli piacerà che definisco così le nostre chiacchierate.
Ci sarebbe ancora una cosa. Parlando con la mia amica Ila, sorella di Olivia, ho pensato moltissimo al libro di Safran Foer Molto forte, incredibilmente vicino (lo avevo letto mentre stavo in ospedale, prima di operarmi, e ne avevo scritto un po’, qui). Il bisogno disperato che l’evento tragico, la morte di una persona amata, sia reversibile è tutto in quei fotogrammi di un corpo che precipita dal World Trade Center l’11 settembre 2001, montati al rovescio alla fine del libro. “Le ho sfogliate velocemente e sembrava che l’uomo stesse alzandosi in cielo” scrive Oskar. Forse dovresti leggerlo, ma non ora, le ho detto.
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