Archive for the 'Donne' Category

Uomini che uccidono le donne

Ancora una volta succede questo, con uno schema identico e micidiale: un uomo uccide una donna da cui è stato lasciato perché non accetta la sua libertà.

L’omicidio è l’esito estremo, prima si passa per l’inganno di un amore totale, ammorbato dalla smania di controllo, da una gelosia furiosa che tenta, qualche volta purtroppo riuscendoci, di isolare la “preda” da ogni contesto di amicizia, solidarietà, affetti, divertimenti, interessi che possano minare la bolla malata di presunto amore. Poi si passa al gesto violento, che può essere anche uno, uno soltanto. Perché si percepisce un tentativo di allontanamento, un’insofferenza al controllo, o una decisa volontà di interrompere il rapporto.

Credo che ognuna di noi abbia vissuto o conosciuto almeno indirettamente storie così, senza arrivare all’omicidio. Ma chi può dirlo quante donne hanno rischiato e rischiano di morire ogni giorno? Per uccidere può bastare un colpo solo, ben assestato. E la violenza è sempre e comunque tentato omicidio. Non per la legge, certo. È il tentativo di uccidere la libertà, la negazione di ogni possibile forma di amore.

La cosa più difficile è sradicare il senso di colpa, interrompere la spirale, quel precipizio verso la trappola da cui non c’è verso di uscire vive.

Non è colpa tua, non è colpa tua, l’amore non c’entra niente con il possesso, con il ricatto, le lusinghe minacciose.

Siamo stanche di dover imparare e insegnare che bisogna temere quei segnali, analizzarli come entomologhe per distinguere la gelosia dall’ossessione, il dolore per una separazione da un progetto omicida, l’elaborazione del distacco dal tentativo di annullare una libera scelta.

L’amore deve essere il luogo della fiducia e del rispetto, un tempo presente senza ipoteche sul futuro, un presente di progetti che s’intrecciano nella libertà e nel desiderio. Gli amori possono finire, o interrompersi per poi ricominciare. Le pene amorose hanno alimentato splendide opere d’arte e di scrittura.

Imparate a sublimare così la frustrazione di essere respinti. Imparate a coltivare il rimpianto e la delusione per far nascere sentimenti nuovi.

Sì, lottiamo perché l’educazione sentimentale e sessuale sia praticata in ogni fase della vita delle bambine e dei bambine, delle ragazze e dei ragazzi, nelle famiglie e nelle scuole.

Ma smettetela di uccidere le donne che non potete possedere e non sapete amare.

È una mattanza che deve finire.

Il lato oscuro della maternità

Quando sento di quello che può accadere quando una donna, appena diventata madre, viene lasciata sola dopo un parto traumatico (sì, spiace dirlo, ma il parto può essere un trauma) o durante un post-partum che per svariate ragioni, chimiche, psicologiche, culturali, può trasformarsi in depressione, ritorno inevitabilmente alla mia esperienza.

Gravidanza meravigliosa, preparazione al parto tutta incentrata su training autogeno, yoga, respirazione, capacità di controllare le contrazioni, una sorta di allenamento a scodellare neonati, come se la questione fosse tutta lì, tirar fuori l’essere che hai tenuto nella pancia per nove mesi e poi fare di tutto per allattarlo al seno, il prima possibile, il più a lungo possibile.

Ma no, l’epidurale non serve, quella meravigliosa esperienza deve essere vissuta naturalmente, come fanno gli animali, come le donne hanno sempre fatto. Partorirai con dolore. Ma no, il dolore si controlla, soprattutto se ti sei allenata bene. E poi, che succede se non senti le contrazioni? Se non collabori? No no, meglio lasciar perdere l’epidurale.

Primo grave, gravissimo errore. Avrei potuto avere un parto senza dolore, e senza quel dolore che non è più inevitabile, anche quello dell’anima forse non sarebbe arrivato.

Poi arriva il momento fatidico, le contrazioni che iniziano di notte, due giorni allo scadere del termine. Io e Sten contiamo gli intervalli e decidiamo di andare in ospedale.

No, troppo presto, tornate a casa, prendi un Buscopan e cerca di riposare.

Macchè, tutta la notte sveglia, e quando la mattina torniamo in ospedale devo impuntarmi per farmi ricoverare.

Ho una stanza tutta per me, con le foto di Anna Geddes, e all’ora di pranzo decidono di darmi un po’ di ossitocina, si rompono le acque e finalmente inizia il vero travaglio, con le contrazioni che si susseguono senza tregua, l’utero che si dilata, e tutto per fortuna dura molto poco. Il tragitto in sala parto, a piedi, sostenuta da Sten e da un’ostetrica, ha pure del comico. Ma i venti minuti di spinte in sala parto li ricordo ancora per le mie urla e il mio dolore, cessati nell’istante in cui Lula è sgusciata fuori, e allora, sì, allora è iniziata l’altra fase, quella dell’emozione unica di vedere mia figlia appena nata. Guardarla negli occhi, avvolta nel panno verde, e piangere di felicità.

Le difficoltà sono iniziate a casa, con i pianti da interpretare, le poppate notturne, il primo bagnetto disastroso, le paure, il senso di inadeguatezza, la mente che iniziava a vorticare verso un abisso di insensatezza, il seno svuotato dall’ansia. Niente più latte, niente più lacrime, ma nemmeno sorrisi.

Nei momenti più bui, dopo una notte insonne, il pensiero di essere altrove attraversava il cuore, come una stilettata.

Da quella profonda depressione post-partum sono uscita in fretta grazie alle premure di chi mi era accanto, consapevole che avevo bisogno di aiuto. E grazie al bravo psico, che mi ha curata e compresa. E grazie, soprattutto, a Lula, a cui da quell’abisso sentivo di dover tornare.

Ma nei momenti bui il pensiero di essere altrove attraversava il cuore, come una stilettata.

Per tanto tempo mi ha accompagnato un senso di colpa per aver vissuto così i primi due mesi di vita di Lula. E immagino che si sentano allo stesso modo le madri che faticano a diventare tali, che annaspano e scivolano verso quel buco da cui non ci si può tirar fuori da sole.

Per tanto tempo ho desiderato un’altra maternità anche per poter riscattare quei due mesi “sbagliati”, sicura che sarebbe stato tutto più facile. La vita ha deciso altrimenti.

Bisogna capire una madre che non riesce ad esserlo, senza colpevolizzarla, e guai a non rispondere alle sue richieste di aiuto, anche solo per farla riposare un po’, per darle il tempo di ritrovarsi.

Femminicidio

Ho proposto tempo fa l’introduzione del termine femminicidio nel Thesaurus utilizzabile dalle biblioteche italiane per descrivere l’argomento dei libri catalogati.

La parte più interessante del mio lavoro è questa: collaborare all’implementazione di questo vocabolario controllato di termini.

Alla fine è stato deciso di introdurre il termine  come  non preferito, da scomporre in donne e omicidio.

Ieri c’è stato un orribile omicidio di donna, quindi un femminicidio, qui a Roma. Una ragazza di 22 anni è stata bruciata dal suo ex che non accettava di essere stato lasciato.

Sara, si chiama così la ragazza, ha tentato di fuggire, per la strada buia, nella notte. Ha chiesto aiuto agli automobilisti di passaggio, ma nessuno si è fermato, né ha pensato che fosse il caso di chiamare la polizia.

Sara forse si sarebbe potuta salvare. Il suo assassino l’ha raggiunta e le ha dato fuoco, così come aveva fatto alla macchina della ragazza.

Il femminicidio non è solo l’omicidio di una donna, ma l’omicidio della donna che ha osato affermare la propria autonomia e interrompere una relazione sentimentale. La donna che non è più propria deve essere annientata. Non deve essere di altri. Inconcepibile che possa essere semplicemente libera di scegliere chi amare. Libera.

Femminicidio è una parola dolorosa, ma esprime bene cosa significa: uccidere una femmina che si oppone al dominio di un maschio.

 

Una bella giornata a Viareggio

Quando sono arrivata a Viareggio, giovedì sera, sola soletta, ero proprio dispiaciuta che non ci fosse nessuno con me. Me ne sono andata mestamente a cenare al ristorante dell’albergo sul lungomare, a pochi metri dal centro congressi sulla spiaggia dove si svolge il Festival della salute. Non ho osato avventurarmi alla ricerca di un posto dove mangiare, visto che ero sola. Mentre aspettavo i miei calamari, circondata da turisti stranieri piuttosto anzianotti, mi facevo un po’ tristezza, lo ammetto. Così, dopo aver concluso la mia cena e fatto due chiacchiere con le cameriere ho fatto due passi – due – sul lungomare piuttosto desolato, e sono tornata nella mia stanza, comoda, grande, a riordinare le idee su quello che avrei potuto dire il giorno dopo e a continuare il bellissimo romanzo che sto leggendo, The round house di Louise Eldrich.

La mattina dopo, a colazione, ho notato una tipa che si aggirava incerta tra i tavoli, aveva in mano il programma del Festival, ed evidentemente, come me, era da sola. Le ho offerto posto al mio tavolo, abbiamo iniziato a chiacchierare e ci siamo raccontate perché eravamo lì. Lei, con un po’ di imbarazzo, mi ha detto di essere una senatrice della Repubblica che si occupa di sanità, per questo era stata invitata come relatrice a uno degli appuntamenti del Festival, e quando ha saputo della mia “competenza”, che ve lo dico a fa’, si è aperta ancor di più, visto che anche lei, di recente, ha avuto il suo cancro al seno. Le ho regalato una copia di “Scriverne fa bene”, abbiamo scoperto altre cose in comune, soprattutto più tardi, quando abbiamo pranzato insieme.

Mentre lei si riguardava le slide del suo intervento io ho fatto un giro per il Festival e poi s’è fatta l’ora di andare al Palco della salute, a incontrare Giusy Versace e Elisa D’Ospina e iniziare il nostro incontro con i ragazzi delle scuole e con la senatrice (un’altra!) Granaiola, della Commissione sanità del Senato, moderato dal giornalista Alessandro Pellizzari.

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Credo di aver detto più o meno le stesse cose che dico in occasioni come queste, cercando di adattare le parole al pubblico certamente non avvezzo a sentir parlare di certi argomenti, aiutata anche dalle domande del giornalista.

E sono stata contenta di mescolare la mia esperienza e le mie parole a quelle di Elisa, determinatissima nell’impegno per combattere i disturbi del  comportamento alimentare e per diffondere tra le ragazze un sano amore verso il proprio corpo, e di Giusy, che fa venire i brividi quando la senti raccontare l’incidente che le ha portato via le gambe, e il modo in cui ha ricostruito se stessa, diventando una campionessa di corsa e insegnando a vivere con una disabilità così grave.

La senatrice Granaiola ha raccolto molte delle nostre sollecitazioni, e in particolare ha rassicurato Giusy sull’impegno già avviato per
l’aggiornamento del nomenclatore tariffario delle protesi, fermo al 1999.

Ad aggiungere commozione c’è stato l’intervento dal pubblico della mamma di Manuela, una delle vittime della strage ferroviaria di Viareggio, che ha voluto ringraziarci perché, in qualche modo, siamo riuscite a incoraggiarla e a darle forza in un momento di rinnovato dolore, visto che sta per riprendere il processo per avere verità e fare giustizia e individuare le responsabilità di quella tragedia costata la vita a tante persone. Dopo è venuta ad abbracciarci una ad una, e quell’abbraccio è un’altra che non dimenticherò di questa bella giornata.

 

Salute seno. Un nuovo aiuto per le donne

Da ieri è online su D Repubblica un portale  integralmente dedicato al tumore del seno.

Si chiama Salute seno, e il modo migliore per presentarlo è farlo con le parole utilizzate da chi lo ha pensato e costruito: “in questo sito trovate tutto quello che c’è da sapere sul male che colpisce in media 1 donna su 9 in Italia. I dossier informativi su ogni aspetto della malattia e della cura, le schede delle associazioni e degli ospedali dove curarsi, gli esperti pronti a rispondere ai vostri dubbi, le video testimonianze delle donne che raccontano la loro malattia e come ce l’hanno fatta. I testimonial eccellenti che spiegano perché investono se stessi in questa battaglia. E poi ancora le notizie giorno per giorno che riguardano le nuove scoperte e le iniziative e tanti articoli che aiutano a capire come riuscire a non sentirsi “solo” delle malate, a Vivere una vita normale prendendosi cura di sé, ritrovando l’armonia con il partner e scegliendo il modo giusto per vivere anche questa esperienza con i figli.”

Conosco alcune delle giornaliste che ci stanno lavorando, con passione e grande competenza e anche per questo ho deciso di partecipare a questo bel progetto con la mia testimonianza e segnalando tra le associazioni Annastaccatolisa.

Oltre a costituire un supporto qualificato per le tantissime donne che si ammalano di cancro al seno, il progetto ha l’obbiettivo ambizioso di far raddoppiare entro il 2016 il numero dei centri di senologia specializzati (oggi 30 in tutta Italia).

Mi sembra giusto dare il benvenuto a questo nuovo aiuto per le donne.

Rossella libera

Poco tempo fa, in riva al mare, ho parlato a lungo di Rossella Urru con una mia cara amica che, ho saputo solo allora, è stata la sua relatrice di tesi di laurea e ha vissuto in questi mesi, da quel maledetto giorno di ottobre in cui è stata rapita insieme ad altri due cooperanti spagnoli dal campo profughi Saharawi in Algeria,  in stretto contatto con la famiglia. Mi ha raccontato l’angoscia, e la speranza, e la delusione di quest’inverno, quando sembrava fosse stata liberata e poi qualcosa ha fatto andare tutto storto. Ho avuto la conferma che si tratta di una donna speciale, coraggiosa e generosa. Da quel giorno la preoccupazione per il suo destino è diventata più intensa, come se la conoscessi anch’io. Per questo poche ore fa, quando è uscita la notizia della probabile liberazione di Rossella, Ainhoa  ed Enric, ho mandato un messaggio alla mia amica, chiedendole una conferma che nemmeno lei ancora aveva. Poi, quando finalmente ho letto la dichiarazione del ministro degli esteri, le ho scritto di nuovo, e poi telefonato, per condividere almeno per un momento la felicità. Abbiamo urlato, ho sentito la sua commozione, ho pensato ai genitori e al fratello di Rossella, alla fine di un incubo, a questa storia che finisce bene.

Giovani donne in preda all’ansia?

Giovedì sera sono intervenuta telefonicamente alla trasmissione Radio3 Suite, che in occasione dell’8 marzo, insieme a Radio3 Scienza, si occupava di prevenzione del tumore al seno. Ripeto: prevenzione del tumore al seno. In realtà l’invitata, insieme agli altri tre ospiti, era Anna/Widepeak, che però di questi tempi per lei parecchio duri non ce la fa a reggere fino a tarda sera, e così ha passato la palla a me. E io, come sapete, difficilmente mi tiro indietro, soprattutto quando c’è da spiegare il senso e l’importanza del cancer blogging e da supportare iniziative sulla prevenzione.

Prima di proseguire devo chiedervi di ascoltare il podcast della trasmissione, magari saltate l’aria di Mozart, oppure no, perché è tanto bella. http://www.radio.rai.it/podcast/A42427970.mp3 (oppure http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-1761033e-1711-4065-9c41-680f8157e307.html)

Ecco, avete sentito? Si parlava di prevenzione, e il dottor Claudio Andreoli, direttore della Scuola italiana di senologia, oncologo con un curriculum straordinario e impegnato in modo particolare nei programmi di prevenzione e di diagnosi precoce del tumore alla mammella, non ha fatto altro che ripetere che in giro c’è troppo allarmismo, troppe giovani donne sono coinvolte in programmi di controllo che condizionano in modo negativo la loro qualità di vita, spinte da raccomandazioni non giustificate, visto che giovani donne che si ammalano di cancro al seno sono eccezioni rarissime.

Lo avete sentito, no? E avete capito quanto fossi scioccata da quelle parole? Non avete letto le mail furibonde che mi hanno scritto alcune cancer bloggers quando ho diffuso il podcast, praticamente quasi tutte incappate in leggerezze da parte di medici che le ritenevano troppo giovani per avere il cancro ritardando con conseguenze gravissime l’inizio delle cure. E pure io, porca miseria, non me lo dimentico che avevo 32 anni e, nonostante la familiarità materna, mi sentii dire che quel nodulino era una sciocchezza dovuta all’allattamento e lasciai trascorrere così mesi preziosi per fare una diagnosi precoce che probabilmente mi avrebbe salvato i primi linfonodi e quindi evitato la successiva metastatizzazione epatica.

E poi vorrei capire dove stanno tutte queste giovani, sotto i 35 anni, che vivono nell’ansia dei controlli. Vi prego, facciamo un esperimento, se siete sotto i 35 anni e passate da queste parti lasciate la vostra testimonianza: fate controlli periodici di prevenzione del tumore al seno? E se lo fate, la vostra qualità della vita è condizionata negativamente? Purtroppo invece in Italia l’incidenza del tumore al seno, e in particolare nelle donne giovani, è aumentata. E di questo credo debbano tener conto i programmi di screening offerti dalle Aziende sanitarie alle donne a partire dai 50 anni. Per carità, nessuno chiede di sottoporre a mammografia tutte le donne dai 25 in su, ma una visita senologica all’anno abbinata ad una innocua ecografia che male farebbe? Tanto per dire, al senologo che mi ha operato è bastato visitarmi per capire che quel nodulo – di cui mi sono accorta alla sacrosanta palpazione – comunque andava tolto.

Ieri ho fatto sentire il podcast della trasmissione ad alcuni dei componenti del Comitato scientifico di Annastaccatolisa –  che, detto per inciso, ha deliberato l’istituzione di una borsa di studio da 20.000 euro di cui a breve verrà preparato il bando.

Anche loro erano stupefatti.

Mi piacerebbe che il dottor Andreoli mi spiegasse, e spiegasse a tutte noi “eccezioni rarissime”, il senso di quella che lui stesso definisce una sua “battaglia che spera un giorno di vincere”.

Perché il messaggio che ha dato durante quella trasmissione, e che mi auguro di essere riuscita almeno un poco a contrastare, è un messaggio pericoloso, che con la prevenzione non mi pare abbia proprio niente a che vedere.

Blogging day Rossella libera

Oggi è il bogging day per Rossella Urru, cooperante del Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei popoli rapita in Algeria, in un campo profughi Sharawi, il 23 ottobre insieme ad altri due cooperanti di origine spagnola, Ainhoa Fernandez de Rincon e Enric Gonyalons Mundobat.

Bisogna rompere il lungo silenzio che ha seguito il sequestro di questa operatrice di pace, tenere desta l’attenzione e diffondere l’appello delle Donne Viola del 18 febbraio:

Nella notte tra il 22 e il 23 ottobre Rossella Urru ed altri due cooperanti spagnoli (Ainhoa Fernandez de Rincon, dell’Associazione amici del popolo saharawi, e Enric Gonyalons, dell’organizzazione spagnola Mundobat) sono stati rapiti da uomini armati, arrivati a bordo di diversi pick-up. Originaria della provincia di Oristano, Rossella Urru, 29 anni, è rappresentante della ONG Comitato Italiano Sviluppo dei Popoli (Cisp) e lavora da due anni nel campo profughi Saharawi di Rabuni, nel sud ovest dell’Algeria, coordinando un progetto finanziato dalla Comunità europea.

Rossella si occupava di rifornimenti alimentari, predisponeva la distribuzione con particolare riguardo alle necessità di donne e bambini. Rossella Urru è laureata in Cooperazione Internazionale presso la facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna, proprio con una tesi sul popolo Saharawi.

Dalla notte del sequestro non si hanno avuto notizie di Rossella Urru fino al mese di dicembre quando un gruppo dissidente dell’Aqmi (Jamat Tawhid Wal Jihad Fi Garbi Afriqqiya ) ha rivendicato il rapimento. ancora ostaggi.

Grazie a rapporti personali col popolo tuareg da parte del consigliere regionale Claudia Zuncheddu, sappiamo che Rossella è viva e che si trova in un territorio desertico quasi inaccessibile, crocevia di interessi contrastanti fra governi e movimenti, dove ovviamente assume rilevante importanza l’intreccio delle funzione di mediazione di soggetti diversi. I sequestratori mirano ad un riscatto per acquistare armi necessarie alla loro lotta per l’indipendenza. Il governo algerino, che conosce il territorio desertico a palmi, tuttavia non è favorevole alla mediazione con riscatto visto che sarebbe il destinatario di una insurrezione armata da parte del fronte del Polisario armato. In aggiunta il governo francese, spinto da mire neocolonialiste, è fortemente interessato alla liberazione forzata dei ragazzi sequestrati, mettendo così a rischio la loro incolumità.

Sono passati 117 giorni dal suo sequestro e rivendichiamo la sua liberazione, il silenzio che la circonda è assordante.

Lasciamo ai servizi ed alle ambasciate rispettivi ruoli e rispettiamo il desiderio dei familiari di mantenere basso il profilo sulle trattative tuttavia dobbiamo fare in modo che si parli di questo sequestro per spingere le nostre amministrazioni, i nostri governi e quanti più Stati possibile ad intraprendere azioni diplomatiche per la liberazione di Rossella.

Forse i suoi sequestratori fanno paura ai diplomatici.

Forse il sequestro è capitato in un momento storico in cui tutte le attenzioni dei governi sono rivolte allo spread, ai bund, alle borse, ai mercati ed alle finanze.

Forse è capitato proprio quando in Italia si è verificato un cambio traumatico di governo e si affronta una crisi economica gravissima.

Ma non si può perdere altro tempo e tutti noi dobbiamo chiedere a gran voce che le autorità competenti rivolgano la massima attenzione al problema della liberazione di Rossella.

Il nostro appello è rivolto alle organizzazioni, alle ambasciate, ai mediatori, ai servizi ed ai governi, centrale e regionale, perché utilizzino tutti i mezzi e tutte le strategie possibili per riportare Rossella a casa quanto prima.

Il fratello di Rossella dice: “le parole cedono di fronte a tanto assurdo, si sgonfiano e sembrano afone. Eppure, in questa vibrante impotenza in cui ci troviamo, sono quel poco che ci è concesso, un nonnulla che tenta di colmare un abisso e una distanza insospettati; che riescono appena a tenerci in piedi, a farci avanzare”.

Parliamo di Rossella fino a diventare afoni anche noi, parliamo di lei e di questo popolo abbandonato nel mondo che lei ha voluto aiutare nonostante i troppi rischi.

Allo stesso modo non dimentichiamo Maria Sandra Mariani, sequestrata in Algeria nel febbraio scorso, anche in questo caso, le tracce sembrano essersi perse nel deserto

Race for the cure, Blogging for cancer cure

Domenica prossima si svolgerà a Roma la Race for the cure, che la Susan Komen foundation organizza da dodici anni per raccogliere fondi e sensibilizzare sulla prevenzione del cancro al seno. Sarà una bella occasione per correre o passeggiare tra Circo Massimo, Fori Imperiali e Colosseo ma, soprattutto, è importante sapere che già da venerdì sarà aperto il Villaggio della salute e il sabato sarà dedicato allo screening gratuito per donne provenienti da comunità disagiate.

Da ieri invece il blog della nostra Anna Lisa è stato adottato da La Stampa nella sua versione online, grazie alla lettera di una sua lettrice e alla sensibilità del direttore Mario Calabresi. Così, questa meravigliosa donna che ho il privilegio di conoscere rappresenterà con il suo inconfondibile stile quel blogging for cancer cure che stiamo cercando di diffondere con Oltreilcancro e che lei pratica dal 2008 per raccontare e farsi coraggio nel percorso difficile di cura e convivenza con il cancro.

Questa è una bellissima notizia per Anna Lisa, che sono certa attingerà forza ulteriore da questa esperienza per tenere testa alla “bestiaccia” – come la chiama lei – e per tutte e tutti noi che crediamo fortemente nel supporto che la scrittura di sé può dare quando si affronta il cancro. E sono certa che sarà una buona notizia per le tante persone che grazie a La Stampa inizieranno a leggere i suoi post quotidiani, fonte inesauribile di insegnamenti per vivere la vita con dignità e coraggio, anche quando la malattia vorrebbe prendersela, spadroneggiando. Le parole di Anna Lisa – non solo quelle scritte, dovete sentirla quando parla col suo bell’accento toscano! –  sono un balsamo per tutte le ferite e sono davvero felice che un giornale abbia deciso di adottarle e diffonderle come si deve.

[Dedico questo post a mio zio, che stamattina ci ha lasciati. ]

Adesso!

E’ iniziata così, la manifestazione di Roma, con la domanda urlata dal palco da Isabella Ragonese: “Se non ora quando?” E dal Pincio è scivolata giù la risposta, ha ondeggiato nella piazza, ha risuonato liberatoria: adesso! Adesso!

People have the power, di Patti Smith ha dato la prima scossa musicale.

In quel momento noi eravamo dietro al palco, cercando di aggirare la folla e raggiungere i vari appuntamenti, incontravamo casualmente famiglie intere, generazioni di nonne, figlie, nipoti e intanto scattavo qualche foto, guardando in su, e guardando in giù.

Dopo poco mi sono ritrovata da sola, Sten e Lula affamati sono andati al bar, i cellulari sono andati in tilt e con grande fatica mi sono guadagnata una posizione strategica, esattamente al centro della piazza, sotto all’obelisco, come mi aveva consigliato un’amica prima del black out di comunicazione.

Ma non ero preoccupata, visto che Sten avrebbe comunque dovuto accompagnare Lula da un’amica più tardi con la moto, e io volevo solo godermi quel momento straordinario, ascoltare gli interventi, sentire che finalmente stava succedendo quello che sarebbe dovuto succedere già da tempo. Non potevo sentirmi sola, né sperduta.

 

Quando Francesca Izzo, una delle organizzatrici, dal palco ha gridato commossa quel “non si torna indietro!” ho avuto la certezza che da lì, da quella meravigliosa piazza, non avremmo ceduto di un millimetro. Anzi. Proseguiremo, andremo avanti, fino a ottenere che le donne italiane conquistino quel potere che dovrebbe spettare loro, per farci essere al passo con il resto del mondo. Un potere conquistato per capacità, merito, impegno e fatica. E perché no, per essere risarcite di ciò che ci è stato sempre stato negato o tolto.  Un potere vero. Non quello fittizio che molte si sono illuse di aver ottenuto con le compravendite estetico-sessuali. Il potere che permette di rendere la vita migliore.

Alla fine la musica di Aretha Franklin con Respect ha fatto ballare l’intera piazza e tutto il palco, donne e uomini, giovani e anziane, sì, quella moltitudine eterogenea ma tanto simile che la Gelmini ha avuto la spudoratezza di definire un gruppo di radical chic…

Adesso un percorso di liberazione è iniziato, e la politica, finalmente, potrebbe tornare ad essere una cosa bella, collettiva, fatta di concretezza e di grandi idealità. Le donne in questo sono maestre.

L’Italia, allora, potrà diventare davvero un Paese per donne, per vecchi, per bambini. E anche per uomini, certo.

Ma per un po’ sarebbe bene che facessero un passo indietro, questi uomini di potere. A partire dai vertici. Dal vertice. Che andasse a farsi processare. Il 6 aprile.


Come una funambola

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