Mi ero dimenticata di scrivere che sono andata a vedere la mostra su Caravaggio, domenica scorsa. Per l'occasione ho tirato fuori dagli scatoloni di un soppalco le dispense del corso tenuto all'università di Roma dal professor Calvesi nel lontano anno accademico 1986/1987. Ah, che dolor! Ventitré anni fa.
Ho riletto i saggi che poi sarebbero diventati il libro Le realtà del Caravaggio, e come al solito mi sono commossa. Anche Lula, che ho preparato alla mostra spiegandole, tra le altre cose, che la celeberrima Canestra di frutta (o Fiscella) conservata alla Pinacoteca Ambrosiana non è una semplice, strepitosa, natura morta, ma ha un significato simbolico che probabilmente rievoca quello delle canestre tra girali di acanto nel mosaico absidale di San Clemente.
Ma per non annoiarla troppo le ho raccontato soprattutto che il realismo di Caravaggio aveva un senso rivoluzionario come linguaggio, ma profondamente rispettoso di una certa religiosità nei contenuti. Ma il racconto forte è stato quello sull'omicidio compiuto da Caravaggio in seguito a una rissa, mentre giocava alla pallacorda, sulla fuga in giro per l'Italia e poi a Malta per scampare alla pena capitale, e sulla richiesta di grazia concessa troppo tardi, mentre moriva a Porto Ercole per recuperare il quadro che avrebbe rafforzato la richiesta:
David che osserva con pietà la testa appena mozzata di Golia, autoritratto dello stesso Caravaggio. Graziatemi, o sarà questa la mia fine. Abbiate pietà di me.
La mostra è bella, da integrare con un bel giro per le chiese romane che conservano altri capolavori.
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