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Leggerezze della domenica

Considerazioni poco serie alla fine del fine settimana:

1. Prego chi ha il potere di farlo di abolire il Festival di Sanremo. O, se proprio volete tenerlo, di accogliere il suggerimento di Concita De Gregorio (oggi su Repubblica) per l’anno prossimo: che lo presenti Geppi Cucciari, accompagnata da due valletti maschi, possibilmente nudi. Non ditemi che se non mi piace basta non vederlo. No, no. Ho provato a non vederlo, ma la finale del sabato sera a casa di amici in parte sono stata costretta a sorbirmela, comprensiva del sermone celentanese. E dato che è pagato anche con i soldi del mio canone, posso dire che basta, è ora di chiuderlo o rivoluzionarlo.

2. Non ero abituata a dover esultare per un 7- di Lula. Ma l’impatto con il latino e il greco è stato duro, il resto così così, tranne per una perla di 8 in italiano scritto, unica nella classe, che inorgoglisce mamma e papà. Lei poi è stata talmente felice per questo 7- comunicato telefonandomi ieri a ricreazione – che eri che è ricomparsa a casa alle sette e mezzo di sera – ne era uscita dodici ore prima – con due orecchini in meno (uno era con Che Guevara), indossando una camicia a scacchi di taglia decisamente maschile non sua, e ripetendo come un mantra “sette meno, sette meno, sette meno”.

3. Guardando il meraviglioso film Hugo Cabret  di Martin Scorsese ho pianto e starnutito in egual misura.

Cominciamo bene!

Martedì sono arrivata agli studi della DEAR accompagnata da Sten, dopo una notte insonne e un violento temporale al mattino. Ero agitata, due occhiaie profonde, la pancia sottosopra, il vestito di lino già tutto stropicciato. Ma dopo pochi minuti mi sono ritrovata in sala trucco, accanto alla mamma di Vic Arrigoni, che doveva prepararsi in fretta perché era la prima ospite, a commuovermi raccontandole che avevo seguito suo figlio attraverso Facebook, prima che venisse ucciso. La mia preoccupazione è scivolata via osservando il dolore composto e l’orgoglio di questa donna. Troppo poco il tempo per dirsi qualcosa in più, se non rispondere al suo “e adesso come stai?”. Sto bene, sto bene.  Poi è stata chiamata per la prova microfono, e io sono rimasta sola con la truccatrice, anche lei con il peso di un lutto di cui mi ha messo al corrente una volta capito che tipo di “ospite” fossi. Mentre trafficava sul mio viso coprendo le occhiaie, mascherando le rughe, illuminando gli occhi e lucidando le labbra mi raccontava e le raccontavo, mentre da lontano sentivo arrivare da un monitor acceso le voci della signora Beretta, la madre di Vittorio. La trasmissione era cominciata. Dopo un veloce passaggio dalla parrucchiera, ero pronta per scendere nello studio, accompagnata sempre da lei,  la maga del maquillage, visto che la persona con cui avevo parlato per preparare l’intervista dove seguire i vari ospiti, dal giudice Caselli, a Giovanni Impastato, al documentarista etiope Dagmawi Ymer. Sten era già dentro, tra il pubblico, io invece ho aspettato ancora un po’ dietro le quinte, sono stata “microfonata”, ho sbirciato nello studio tentando di seguire parte del programma, Sten mi ha fatto ciao con la mano dal suo posto in prima fila e finalmente qualcuno mi ha detto di non preoccuparmi, mi ha mostrato le due sedie dove si sarebbe svolta l’intervista e, puf! Mi sono trovata davanti la bella faccia sorridente di Arianna Ciampoli mentre Giovanni Anversa introduceva l’argomento. A quel punto quello che è successo lo potete vedere qui, a partire più o meno dal 50° minuto.

Durante la seconda parte, dedicata al coraggio di chi denuncia le mafie,  mi sono seduta accanto a Sten, e la signora del pubblico che avevo accanto mi ha chiesto, pure lei, “e adesso come sta?” Bene, bene. “E la chemio è tanto brutta vero?” Ho trattenuto un moto di fastidio, mi sono forzata a sorridere: “non è la chemio ad essere brutta, ma il cancro, che la chemio cura.”

Alla fine, prima di andare via frastornata e contenta, sono riuscita a rivedere la signora Beretta, e le ho regalato una copia di Come una funambola che, per rettificare la scheda fatta passare durante l’intervista, non è edito dal Gruppo editoriale l’Espresso,  ma è stampato attraverso il sito Ilmiolibro.it ed è ancora alla ricerca di un editore…

Devo ammettere che questa volta non posso fare la solita criticona verso me stessa, e quasi quasi ci faccio un pensierino sull’intraprendere una strada nuova, come qualcuno mi ha suggerito 😉

Tornando con i piedi ben piantati sulla terra, e chiusa questa bella, intensa, parentesi televisiva, oggi ho iniziato a fare i controlli del semestre, che si chiuderanno martedì con la tac.

 

Coraggiosa?

Spero che molti di voi siano già in vacanza. Ma so che molti altri lavoreranno. Io invece mi prendo un giorno di ferie perché sono stata invitata a partecipare al talk show del mattino di Rai 3, Cominciamo bene Il tema della puntata è il coraggio, e come per la trasmissione Invincibili, fatico un po’ ad essere considerata portatrice di un valore così grande.  Ma visto l’effetto positivo che ha avuto affrontare il tema in televisione, ho deciso di buttarmi anche questa volta, pure se ho una gran fifa della diretta.

Ma sono molto felice di avere questa opportunità soprattutto perché potrò conoscere Egidia Beretta, sindaco di Bulciago e madre di Vittorio Arrigoni, il volontario pacifista italiano ucciso a Gaza il 15 aprile scorso. Lui sì, era un uomo coraggioso.

 

Confusa e felice

Per chi non è riuscito a vederlo ieri sera, qui e qui potete vedere il servizio sulle cancer bloggers.

Ora sì, posso dire che ne è valsa la pena, e che il risultato di quei due pomeriggi tra casa, Villa Pamphili e Villa Glori con la troupe al femminile di Invincibili, montato con le interviste a Romina e a Rosie – ottime compagne di avventura, bravissime e spigliate come se non avessero fatto altro nella vita che fare televisione – è stato un bel filmato denso, commovente senza essere patetico, efficacie nel trasmettere il senso del cancer blogging e, più in generale, nel dare una rappresentazione autentica di come si vive con e oltre il cancro.

Be’, a dir la verità non sono tutte rose e fiori. Mentre mi vedevo in tv, a casa di amici, ho iniziato a gridare: “Nooo, vi prego, ditemi che non ho un culone così! E che le mie gambe non sono così corte”

“Ma no, sai, è la televisione che schiaccia”, mi hanno rincuorata Sten e gli amici. E pure Lula mi ha giurato che non sono così. E mamma – per non smentire il detto che ogni scarrafone è bello ecc. ecc. – mi ha giurato che invece ero bellissima.

Scherzi e lato B a parte, ringrazio tutti voi che mi state leggendo, e mi scrivete messaggi, commenti, mail, a cui spero di riuscire a rispondere. Ho deciso di accettare l’invito a partecipare a Invincibili nella speranza che potesse essere un modo per far conoscere e diffondere la pratica del cancer blogging e per raccontare quanto possa essere bello riuscire a condividere una delle esperienze più dure che può capitare nella vita. Perché serve, serve davvero.

Ringrazio tanto Romina e Rosie – senza di loro credo che avrei lasciato perdere.

Bravissime e grazie a Chiara, Elisa e Irene che hanno realizzato il servizio.

E molte grazie ancora a Chiara Cecilia Santamaria, perché senza il suo articolo su Vanity Fair tutto questo non ci sarebbe stato.

 

Invincibile?

Il 22 giugno di cinque anni fai mi è stata somministrata l’ultima infusione di chemio per debellare le metastasi che avevano attaccato il fegato a sei anni dalla prima diagnosi di carcinoma al seno.  Da allora sto bene, immagino anche grazie alla terapia ormonale che continuo ininterrottamente da allora.

Chi mi conosce e conosce questo blog sa perfettamente che non mi sentirete mai cantare vittoria, e che la metafora scelta per dare un titolo alla mia storia è quella del funambolismo. La precarietà di una vita in bilico non corrisponde alla retorica dell’eroe invincibile. Per questo quando mi hanno contattata dalla redazione del programma condotto da Marco Berry, che si chiama proprio Invincibili, ho traccheggiato, spaventata da questo titolo, temendo che potesse pure portarmi sfiga… Alla fine però, come ho già raccontato, mi sono fatta con-vincere. E così succede che mercoledì prossimo, il 22 giugno, a cinque anni esatti dall’ultima seduta di chemio, andrà in onda il servizio in cui  io, Romina e Rosi parleremo della nostra esperienza di invincibili in quanto non vinte dal cancro, di cancer blogging e di Oltreilcancro.it.

Allora sì, forse posso essere definita invincibile, soprattutto dopo aver sentito la definizione che ne ha dato Erri de Luca, ospite fisso della trasmissione, durante la prima puntata: “Invincibili sono quelli che non si lasciano abbattere, scoraggiare, ricacciare indietro da nessuna sconfitta, e dopo ogni batosta sono pronti a risorgere e a battersi di nuovo. Chisciotte che si tira su dai colpi e dalla polvere, pronto alla prossima avventura, è invincibile.”


Prova tv

Vanity fair ha colpito…

Un paio di settimane fa mi è arrivata una proposta per una trasmissione televisiva – quale ve lo dirò a tempo debito (e chi lo sa è bene che si astenga da sbandierarlo, per favore) e mi sono arrovellata nel dubbio se accettare o meno. Per facilitare la decisione ho fatto una controproposta che spostasse l’attenzione dal personale al collettivo:  mi sarebbe piaciuto che fosse coinvolto – per quanto possibile – tutto il gruppo di cancer bloggers. La controproposta è stata accettata, ma per motivi logistici o personali saremo solo in quattro a raccontare che significa fare blogterapia del cancro, mettendoci la faccia nel vero senso della parola.

La mia parte è stata girata e adesso, a cose fatte, posso dire che mi sono divertita, anche se non ho idea di come sarà il risultato finale, e se dovrò pentirmi di essermi buttata in quest’avventura. In verità sono fiduciosa, perché la troupe tutta femminile mi è piaciuta subito, a pelle, e il clima era decisamente amichevole, e pure un po’ cazzeggione.

Ero talmente rilassata che stavo quasi per mettermi a fare Qi Gong al parco, dopo l’ultimo pezzo d’intervista. E avrei ricominciato a parlare, a raccontare tutto quello che era sfuggito alle riprese, e che magari avevo voluto tacere. Perché di questo si è trattato: parlare, parlare, parlare. E per chi preferisce scrivere per esprimersi può essere molto difficile. Invece dopo i primi tentennamenti mi sono lasciata andare, affidandomi fiduciosa al potere del montaggio… Ho parlato sul divano di casa e seduta sul prato con la schiena poggiata ad un albero. E poi ho passeggiato nella mia amata Villa Pamphili, ho smanettato sul pc, ho imparato a mettere e togliere rapidamente il microfono, ho battuto il ciak con le mani per la regista, ho indossato una fighissima giacchetta di pelle dell’autrice/intervistatrice perché la temperatura era scesa e al parco signora mia c’è un’umidità… abbiamo imprecato insieme perché si era scaricata la batteria del microfono, ho incontrato per la prima volta Romina e ci siamo bevute una cosa insieme superando brillantemente il primo imbarazzo di vivere quel primo incontro davanti a una telecamera.

Sì, è stata una bella esperienza, e tanto per l’ansia da messa in onda ci manca ancora tempo…

Vengo o me ne vado

Diciamo la verità, gli elenchi dei valori di sinistra e di destra letti da Bersani e da Fini a Vieni via con me, come ha giustamente sottolineato poco fa Crozza, erano ridicoli: c’era bisogno di stare incollati ad un pezzo di carta, per due politici di lungo corso come loro?  Non li conoscono a memoria i valori che dovrebbero rappresentare? V’hanno scaldato i cuori, gente di sinistra e gente di destra? Mah.

Sicuramente mi ha commosso Saviano che raccontava la storia di Piero e Mina Welby, e poi Mina che leggeva le ultime parole di suo marito. E naturalmente Beppino Englaro.

Paolo Rossi ha biascicato cose incomprensibili.

E’ stato esilarante e graffiante Albanese con il suo Cetto La Qualunque, come al solito.

Ormai i comici sono diventati la coscienza critica della società.

Però non voglio infierire, e anzi esulto perché una trasmissione in cui si parla di mafie, eutanasia, legalità, precari, possa essere vista da milioni di telespettatori.

Ah, e poi sono molto contenta per le primarie di Milano, vinte da Giuliano Pisapia.  Ora aspetto con impazienza quelle nazionali.

Buonanotte

LA NOTTE PIU’ IN LA’

Oggi che si dovrebbe parlare del governo caduto io preferisco scrivere qualche parola sullo speciale di Ballarò andato in onda ieri sera, dedicato, attraverso il libro di Mario Calabresi Spostando la notte più in là e lo spettacolo teatrale che ne ha tratto Luca Zingaretti, alle vittime del terrorismo. In studio, oltre al figlio del commissario Luigi Calabresi, ucciso a Milano il 17 maggio del 1972, c’erano Benedetta Tobagi, figlia di Walter Tobagi, giornalista ucciso a Milano il 28 maggio 1980, e Marco Alessandrini, figlio del giudice Emilio Alessandrini, ucciso a Milano il 29 gennaio 1979.

Sembra un miracolo che il giorno dopo il solito teatrino d’insulti, la stessa trasmissione televisiva potesse regalare un momento così alto di testimonianza civile e umana, di ricostruzione storica e di memoria intima e collettiva. C’erano tre figli che hanno cercato di ricostruire la presenza di padri che quasi non hanno conosciuto, di colmare vuoti incolmabili. E soprattutto di capire quegli anni, denunciarne le aberrazioni, i luoghi comuni, e di mettere la giusta distanza tra vittime e carnefici. Che il tempo non può rendere tutto uguale e confuso oppure, al contrario, falsamente contrapposto.

Io avevo cinque anni quando è stato ucciso Calabresi, pochi più di suo figlio. Eppure sono cresciuta con la convinzione che quell’uomo fosse stato ucciso perché aveva buttato dalla finestra l’anarchico Pinelli. Pinelli e Calabresi invece pare che si stimassero, si regalavano libri, e che Calabresi avesse la colpa di essere dialogante e disponibile. Un facile capro espiatorio.

Mi sa che domani continuo, perché queste sì che sono storie importanti. Degne di essere raccontate e capite. Per riuscire a spostare la notte più in là.


Come una funambola

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