Ieri sera io e il mio editor (sì, sì, ancora lo è, oltre ad essere diventato un amico) siamo andati a casa del dottor Zeta dopo una giornata faticosissima, per fortuna archiviata. L'occasione era attesa da troppo tempo per farcela sfuggire, anche se, insisto, la giornata era stata pesante, non ero riuscita ad andare a prendere Lula al ritorno dal campo scuola, non ero riuscita a fare la spesa, avevo i nervi a fior di pelle, meditavo un viaggio a Lourdes, e l'unica cosa saggia da fare sarebbe stata forse di sentire i racconti di Lula e andarmene a dormire.
Invece ho tenuto duro, giusto il tempo di sbaciucchiare Lula, Sten ha preparato la sua ottima pasta allo speck, E. è stato costretto ad accontentarsi di quello e di un piatto d'insalata e poi via, da Zeta.
La sostanza dell'incontro, a parte piacevoli chiacchiere e ottima sintonia tra i due, è che forse Zeta ha capito che senso dovrebbero avere i suoi interventi, quale trama dovrebbe tessere il suo racconto della storia, intrecciandosi con il mio. L'entusiasmo c'è, ma bisogna capire se riuscirà a ricominciare a scrivere, tra i sacrosanti impegni medici, i congressi, il karate, e insomma la vita sua.
E. mi chiede di avere pazienza, perché le cose grandi richiedono grande tempo, di pensare ad altro, scrivere altro, di aspettare le risposte che ancora un paio di editori mi devono e poi provare pure una vecchia strada che improvvisamente si è riaperta dopo un recente incontro.
Farò così. Un po' perché mi fido di E., che non è un editor qualunque, e un po' perché ho decisamente altri pensieri per la testa.
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