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Di chakras, tibetani e volpi maremmane

Da una settimana mi sveglio un quarto d’ora prima la mattina per eseguire i Cinque riti tibetani. Ancora non ho saltato nemmeno un giorno, e nonostante la levataccia mi sembra di iniziare molto meglio la giornata e di sentire già i primi benefici fisici e mentali di questa pratica. Non capisco perché non sia riuscita ad essere altrettanto disciplinata con lo yoga o con il qi gong, e come mai riesco a farlo proprio ora che devo uscire di casa prestissimo per dare un passaggio a Lula. Forse è proprio questo, l’energia che si attiva rende meno traumatico il risveglio precoce.

Ieri sera a cena abbiamo avuto un incontro ravvicinato con due volpi, venute a rimediare qualche avanzo di cinghiale e rostinciana nel ristorante del Parco dell’Uccellina. Dopo lo sguardo che ci siamo scambiate durante questa foto ho avuto un brivido di emozione, come sempre mi accade quando riesco ad entrare in contatto con gli animali selvatici. Anche se quelle due tanto selvatiche non sembravano proprio.

La volpe a cena da Buratta

Di befane, abitudini e ruote karmiche

Anche quest’anno il mio dovere l’ho fatto. Una Befana ormai smascherata ma sempre reclamata che, incitata e supportata dalla Befanonna ha riempito e fatto tracimare due calze di veri regali, altro che dolcetti, noci e mandarini! Ma adesso basta, festa finita, domani si smonta l’albero e riaprono le scuole.

Sto riflettendo da qualche giorno sul Samskara – l’abbandono delle abitudini come liberazione dalla causalità karmica così come insegna la filosofia yoga: "Tutti noi vorremmo avere quello che è chiamato karma positivo invece del karma negativo, e così cerchiamo di rendere meno sgradevoli le conseguenze karmiche. Gli effetti postivi derivano da samskara positivi. Perciò più semi positivi si piantano, maggiori saranno le conseguenze positive che si otterranno. Tutto ciò rende la vita più piacevole, vivibile e gradevole, sia per noi che per gli altri. […] Ma l’obiettivo yogico è la libertà, perciò lo yogin dice: ‘Voglio essere libero dalle conseguenze; voglio essere libero dalla causalità karmica. Devo agire nel momento presente, senza essere condizionato nemmeno dalle tracce positive che producono risultati positivi. Cercherò di coltivare le azioni in modo che siano libere da reazioni.’ Non sarà legato né al passato né, per una motivazione egoistica, al futuro. Agira semplicemente e con facilità nel momento presente." (B.K.S. Iyengar, Vita nello yoga) Non sarò mai una yogin, questo è certo. Rinunciare alla sicurezza delle abitudini – come sapeva bene Proust, di cui urge una rilettura della Récherche – è difficilissimo, anche se dovremmo tutti provare a sollevare quel velo che ci protegge dal dolore ma ci nasconde la realtà e divora il tempo. Mmmh, interessante questo collegamento tra yoga e Proust. Da approfondire. Ma soprattutto – ed è un impegno per l’anno nuovo – devo rileggere il mio amatissimo Marcel.
 

MI SAREBBE PIACIUTO

Tra le tante cose che fanno negli Stati Uniti e che sarebbe bello un giorno realizzare anche qui c’è questo: http://www.yogabear.org/ yoga specifico per pazienti oncologici, a cui affiancherei anche il Qi gong, potente energizzante per affrontare debolezze e depressioni immunitarie provocate dalle terapie mediche.

Ora che ho la testolina impegnata sul progetto di cui presto, spero, potrò parlare più diffusamente, mi faccio continuamente domande sulle cose di cui avrei avuto bisogno quando ho combattuto le mie battaglie e cosa sono riuscita a compensare utilizzando il blog – perché qualcosa ho compensato. Come dicevamo oggi con Anna, che non ama la metafora bellica, narrare la malattia, sistematizzarla con la scrittura ci aiuta a tenerla a bada, ad averne meno paura. Condividere alleggerisce, comunicare permette di distribuire un peso che è difficile da sopportare tutto sulle proprie spalle. O sopportabile a costi che prima o poi si pagano. Sollecitare il senso di appartenenza ad una comunità in cui sentirsi pienamente comprese, perché comune è un nuovo senso del  vivere, il rovesciamento delle prospettive, la sospensione delle attese, quei piccoli grandi mutamenti caratteriali che possono essere anche molto irritanti per chi ci sta accanto, mentre per noi sono il risultato di un percorso accidentato verso la costruzione di un’identità nuova, di cui dovremmo sempre andare fiere. Perché è un’identità lacerata, rattoppata, ma forse più completa della precedente. Dieci anni fa è successo qualcosa che non passa. Ora ne sono consapevole. Ora non m’interessa dimenticare o recriminare. Ora mi piacerebbe se le cose imparate in questi dieci anni potessero circolare sempre di più tra chi ne ha bisogno. Quello che non trovavo allora era soprattutto questo: comunicazione tra pari. Al di là degli studi scientifici, delle panzane su terapie miracolose, di orribili statistiche di sopravvivenza. Semplice e genuina comunicazione tra persone che condividono diagnosi, terapie, prospettive di guarigione. E una vita da vivere, nonostante tutto.

 

LA COSTRUZIONE DI UN LUOGO DI CURA

Inizio a sentire quell’aria autunnale propizia a mettere in cantiere progetti. Sono giorni che mi frulla nella testa l’idea che questa mia condizione, status, non so bene come definirla, di vittoriosa pluricombattente contro il cancro, possa costituire una ricchezza condivisibile, da redistribuire tra altre donne che forse, almeno all’inizio, ne sono sprovviste. La vecchia associazione tra medici e pazienti del San Giacomo mi pare abbia fatto la stessa brutta fine dell’ospedale (ormai chiuso da quasi un anno), ma quello che ho in mente è qualcosa di più specifico, simile credo a quello che fanno a Modena e in rete le valorose amiche del Cesto di ciliege. Supporto, informazione, condivisione, organizzazione di una rete che possa proteggere e aiutare a far ripartire con una vita nuova, se possibile addirittura migliore. Sogno una sede luminosa, colorata, aperta in un via vai continuo di scambi e opportunità. M’immagino una nuova disciplina psicofisica ("mamma", mi dice spesso Lula quando mi vede alternare per casa posizioni e passi, respiri e movimenti, "dovresti inventarti una cosa che mescoli yoga, qi gong, pilates, e magari anche danza") che integri tutto ciò che può fare bene, attivare energia, aprire il cuore, rendere lo sguardo più luminoso e il respiro tranquillo. E che faccia divertire. Ridere. Bisogna ridere molto, si sa, perché è il miglior modo per rafforzare il sistema immunitario.

Vorrei insegnare a raccontare quello che ci accade senza avere paura e vergogna, a credere nel potere terapeutico della parola, scritta o detta, quando occorre anche urlata.

Mi sembra già di vedere il dottor Zeta che insieme alle terapie consiglia di affacciarsi in questo luogo di ri-costruzione abitato da creature dalle risorse inesauribili, capaci di danzare mentre indossano corazze e brandiscono affilate armi di difesa.

 

COSE DI CASA

– Mi piaci di più casalinga. – Mi ha detto Lula stamattina mentre le preparavo il pranzo (avanzi della cena) da portarsi a scuola perché il lunedì esce più tardi.

– Pure io mi piaccio di più.

– Però il tuo lavoro non è molto faticoso… Vabbè, non ti licenziare.

– Non posso licenziarmi, tesoro.

– E perché?

– Perché ci serve il mio stipendio.

– Ah, già.

– Tu però ricordati che da grande devi cercare di fare un lavoro che ti piaccia moltissimo, oppure che ti faccia ….

– guadagnare moltissimo.

– Sì. L’ideale sarebbero le due cose insieme. Adesso, per esempio, se ci pensi seriamente, cosa ti piacerebbe fare da grande?

– Lo sai.

– La ballerina?

– Sì, un po’ ballerina, un po’ attrice. Vorrei fare il musical.

– Ma non è che una ballerina o un’attrice fa solo il musical.

– Be’, John Travolta fa solo quello: Grease, Hairspray…

– Ma no, John Travolta è un grandissimo attore. E’ diventato famoso per due film musicali e poi ha fatto moltissimi film di vario genere. E recentemente con Hairspray ha fatto un altro film musicale.

– Ah. Insomma io voglio fare il musical.

– Ok. Se è la cosa che veramente vuoi fare, ti auguro di farcela.

– Grazie.

Questo lungo periodo di convalescenza casalinga è pericoloso. Mi piace troppo, e quando finirà ne sentirò la mancanza. Scrivo, faccio Qi Gong, Yoga e Pilates, studio inglese, guardo film in lingua originale, leggo – ho finito il secondo romanzo della trilogia di Larsson – mi coccolo le mie ragazze (Lula e la gatta) e mi godo la casa.

L’amica del sogno che ho raccontato qualche giorno fa mi ha telefonato ieri per chiedermi aiuto e consigli. Lei non sapeva che l’avevo sognata, io non sapevo cosa stesse passando, visto che ci sentiamo e vediamo molto poco. La cosa pazzesca è che mi ha chiesto consigli sullo yoga, e nel sogno riusciva a salvarsi grazie a un eccezionale controllo sul proprio corpo. Quella notte ho sentito che le stava succedendo qualcosa, e ho visto che avrebbe superato benissimo quel momento difficile. Oggi mi ha detto "grazie" mille volte. E mille volte io le ho detto "ma di che?". "Ho imparato che è bello esprimere la gratitudine verso gli altri."

DOMENICA SPECIALE

Sabato mi sono distorta il piede scendendo le scale con le scarpe di corda alte. Erano solo le 5 e 45, Lula e Sten erano già fuori ad aspettarmi per andare alla stazione. Un male cane, poi sembrava tutto passato, presa dai saluti al binario 10, con le due maestre affacciate al finestrino, loro già tutti presi dall’emozione della partenza. Appena il "convoglio" (come l’ha chiamato la maestra) è partito, il papà più apprensivo si è lanciato in un "e adesso tutti in discoteteca!" Invece siamo solo andati a fare colazione al bar, e poi chi poteva a casa a dormire. Io per prima. Quando sono riemersa non potevo poggiare il piede per terra, avevo finito le scorte di arnica e i due ortopedici che conosco, chi per un motivo, chi per un altro, non potevano visitarmi. Pronto soccorso di sabato? No no. Ho fatto due ore di riposino pomeridiano, ho spedito Sten a comprarmi arnica e bryonia (da alternare con laedum palustre, come dice il mio prontuario omeopatico) e non ho trattenuto il malumore per aver iniziato così i quattro giorni senza prole. La mattina dopo andava molto meglio, il papà della compagna di classe di Lula mi ha visitato il piede ormai quasi perfettamente abile, e con Sten ce ne siamo andati a mangiare cinese all’Auditorium, poi allo Yoga festival dove, nonostante la pioggia, siamo riusciti a beccare proprio la lezione dimostrativa di Shakti dance. Prima però ho disquisito un po’ con un paio delle insegnanti di yoga che ho avuto in questi anni su questo mio desiderio di movimento dopo anni di rigore statico nelle posizioni. Mi hanno capita, tutte e due, incoraggiandomi a provare altro, superando così la fase di stallo in cui mi trovo. Abbiamo bevuto un delizioso karma drink a base di zenzero e poi, un po’ defilata (non avevo l’abbigliamento adatto, né un tappetino e il piede era ancora un po’ dolorante), ho seguito tre quarti della lezione di shakti. L’impostazione kundalini è evidente, con i mantra cantati, il linguaggio mistico e il movimento spontaneo. Niente a che vedere con il metodo che seguo da otto anni, ideato da B.K.S. Iyengar, basato sulla precisione nell’esecuzione delle posizioni, sulla ricerca della simmetria e sul controllo anche dei più piccoli e sconosciuti muscoli del nostro corpo. E poi c’è la musica, ritmica, coinvolgente. Sten era entusiasta, quasi più di me. Anche perché io, prima di entusiasmarmi, dovrò provare per un periodo sufficiente a farmi capire se è questo quello di cui ho bisogno, oppure se posso integrare e contaminare a mio piacimento magari anche con un po’ di Qi gong.  

Per finire, nel tardo pomeriggio siamo andati a vedere Il divo di Paolo Sorrentino, un film strepitoso, cinema ad altissimo livello, interpretazioni magistrali, colonna sonora perfetta. Lo metto al vertice dei film più belli della stagione.

Poi, siccome non campiamo solo di spirito, siamo pure andati a cena da amici, non senza aver prima fatto una telefonata a Lula, che naturalmente, si sta divertendo come una pazza sull’sola del vento.


Come una funambola

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