Dopo la lezione di yoga venerdì mi sono trascinata l’insegnante alla presentazione di Love life, come ho annunciato nel post precedente.
Mentre aspettavamo ho esaminato le signore in attesa di entrare, quasi tutte associate dell’ANDOS, e valutavo chi fosse sotto chemio e chi no. Ormai le parrucche sono fatte bene, è facile scambiarle per capelli veri, ma non per me, soprattutto se a indossarle è una malata di cancro. Per la prima volta ho realizzato che il mio rifiuto di quell’oggetto entrambe le volte che ho perso i capelli, e la preferenza per fazzoletti, foulard, bandane e simili, sotto sotto significava che non avevo nessuna intenzione di nascondere il mio “status”.
Tra le parti del libro raccontate da Francesca D’Aloja c’è quella in cui lui, il protagonista, rade i capelli della moglie e intanto le bacia il cranio nudo.
Peccato davvero che ci fossero pochissimi uomini, perché, com’è stato detto durante la presentazione, il modo con cui Ray Kluun racconta la diagnosi, la malattia e la morte di sua moglie, una di quelle donne che per colpa di un medico incapace ci ha rimesso la vita, è appunto un modo maschile e dolorosamente sincero, che svela tutti i pensieri più bassi che possono attraversare la mente di un giovane uomo che affronta per la prima volta il dramma di una malattia che colpisce la parte più simbolicamente femminile della sua giovane e bella moglie. Dai brani letti, dalle parole di Kluun tradotte da Claudia Di Palermo (che per tutta la durata della presentazione ho tentato di ricordare perché mi sembrava di conoscere, e alla fine ho scoperto che andava al mio stesso liceo) ho capito che Love life è scritto senza retorica con un linguaggio crudo, ironico ma commovente al punto che l’autore ha confessato di non riuscire a leggerne in pubblico certe parti, in particolare quelle finali, quando Carmen saluta sua figlia Luna prima di bere il bibitone con cui sceglie di morire prima di essere uccisa dalla malattia (siamo in Olanda, non dimentichiamolo…).
Scrivere questo libro è stato il modo per prendere veramente congedo da sua moglie, e dichiararle tutto il suo amore. Anche il racconto della genesi del romanzo mi ha impressionato. Dopo la morte di Carmen (o come si chiama nella realtà) si è preso una lunga aspettativa ed è andato in Australia con sua figlia. Lì, nel camper, ogni sera dopo aver messo a dormire la bambina completava il diario che sua moglie aveva scritto per lei, e che le ultime settimane aveva dovuto interrompere perché non riusciva più a tenere una penna in mano. Tornato in Olanda ha scritto il romanzo in sei mesi, e quasi immediatamente ha avuto un successo straordinario. Quasi un milione di copie vendute solo lì.
Io mi preparo a piangere, a star male. Ma lo voglio assolutamente leggere.
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