Posts Tagged 'eutanasia'

ADESSO SILENZIO

La Corte di Cassazione ha deciso, finalmente.

Adesso che nessuno s’intrometta più nella vita e nelle scelte sulla vita e sulla morte di persone che hanno già dovuto soffrire abbastanza.

Ora silenzio, rispetto.

Un abbraccio al papà di Eluana, che ora può dire "Viviamo in uno Stato di diritto."

ARRIVERANNO BUONE NOTIZIE

Aspetto con ansia la decisione della Cassazione sulla vicenda  Englaro, una vicenda dolorosa che deve potersi concludere così come Eluana avrebbe voluto. E dico coraggio al padre e alla madre, perché forse potranno finirla con questo strazio, nonostante il Vaticano alzi la voce proprio nel momento più delicato, con i giudici riuniti in camera di consiglio.

Oggi però ho avuto dal dottor Zeta ottime notizie sugli sviluppi della vicenda San Giacomo. I prossimi giorni saranno decisivi. E’ sicuro però che l’Avvocatura di Stato ha dato ragione agli eredi Salviati: il San Giacomo deve restare un ospedale. E poi sembra che alcuni macchinari per la Tac e la Risonanza non possano essere spostati dall’edificio. Insomma, spero proprio di poter scrivere presto un post dal titolo RIAPERTURA.

‘Notte

LOVE LIFE

Ho finito Love life il giorno di Natale. Ero preparata, talmente preparata che me lo sono letto tutto d’un fiato versando solo poche lacrime, nonostante la commozione profonda e l’inevitabile confronto con la mia storia. E’ stato proprio questo confronto a farmi leggere il libro quasi con distacco. Per un attimo mi sono vergognata di me stessa: ma come? Non mi dispero, non soffro, io, io che piangevo ogni volta che il leone Mufasa veniva travolto dalle mandrie di gnu davanti a suo figlio Simba? Poi ho capito che mi stava succedendo: leggendo quello che mi sarebbe potuto accadere se il mio cancro fosse stato più aggressivo, se non avessi avuto il campanello d’allarme di una familiarità materna, se Sten non mi avesse quasi urlato di andare a farmi vedere quel nodulo che cresceva, se fossi tornata dal mio ginecologo poco scrupoloso invece di correre dall’omone che aveva operato mia madre e che avrebbe affettato anche me, mi sentivo sollevata, fortunata. Più viva di qualunque altro essere vivente. Alla fine mi è sembrato quasi che leggerlo mi avesse fatto del bene, contraddicendo quelle iniziali preoccupazioni sull’impatto emotivo che un libro del genere avrebbe avuto su di me.

Anche l’aspetto più “originale” e controverso del romanzo l’ho mandato giù senza scandalizzarmi, ma con la dovuta irritazione: il protagonista Stijn (lo stesso Ray Kluun, ma con i tratti un po’ più esasperati) confessa di essere un inguaribile monofobo – ovvero patologicamente avverso a una vita sessuale monogama –  con l’aggravante che continua ad esserlo anche nella dolorosa e drammatica circostanza della malattia di sua moglie Carmen. Anzi, la monofobia permea tutto il libro, ne è la parola chiave. Stijn è sempre stato così e non poteva che continuare ad esserlo. Certo, quando il cancro s’impossessa di Carmen lui si sforza di essere come dovrebbe, l’accompagna ad ogni visita e ad ogni seduta di chemio, le stringe la mano mentre i dottori danno pessime notizie, le rade i capelli quando cominciano a cadere a ciocche, si occupa della piccola Luna, osserva sgomento quell’”offesa al genere femminile”, la grande cicatrice al posto del bel seno di Carmen, dopo la mastectomia, cercando di trovare le parole giuste per rincuorarla. Quando arriva il venerdì sera però non può evitare di andare in giro per locali, fare sesso a tre con segretaria e stagista, farsi l’amante e tradire anche lei. Almeno fino a quando non tocca il fondo, da cui risalirà anche grazie all’amante e futura moglie Roos, realizzando che il suo posto è accanto a quella donna straordinaria che si sta spegnendo e che finalmente comincia ad amare e accudire nel modo che merita.

E arriviamo alle pagine finali, da quando Carmen è data per spacciata al giorno dell’eutanasia, le più belle, le più intense. E’ il momento in cui Carmen finalmente si riappropria del potere di decisione sulla  propria vita:  come e quando finirla, con chi, strappando al cancro il dominio assoluto sul proprio corpo. Sono i giorni del commiato, della liberazione dalla sofferenza, della costruzione delle memorie per chi resta, per Luna, soprattutto. Questi momenti sono descritti con una naturalezza che alleggerisce il cuore e rende incomprensibile l’accanimento di chi, in nome della sacralità della vita, nega il diritto di andarsene in santa pace se continuare ad esistere è diventato un insulto alla dignità umana. Altro che sacralità. Altro che rispetto. E’ anche per amore della vita che Carmen ha scelto di bere il bibitone dopo aver salutato come si deve tutti i suoi cari.

LOVE LIFE

Dopo la lezione di yoga venerdì mi sono trascinata l’insegnante alla presentazione di Love life, come ho annunciato nel post precedente.

Mentre aspettavamo ho esaminato le signore in attesa di entrare, quasi tutte associate dell’ANDOS, e valutavo chi fosse sotto chemio e chi no. Ormai le parrucche sono fatte bene, è facile scambiarle per capelli veri, ma non per me, soprattutto se a indossarle è una malata di cancro. Per la prima volta ho realizzato che il mio rifiuto di quell’oggetto entrambe le volte che ho perso i capelli, e la preferenza per fazzoletti, foulard, bandane e simili, sotto sotto significava che non avevo nessuna intenzione di nascondere il mio “status”.

Tra le parti del libro raccontate da Francesca D’Aloja c’è quella in cui lui, il protagonista, rade i capelli della moglie e intanto le bacia il cranio nudo.

Peccato davvero che ci fossero pochissimi uomini, perché, com’è stato detto durante la presentazione,  il modo con cui Ray Kluun racconta la diagnosi, la malattia e la morte di sua moglie, una di quelle donne che per colpa di un medico incapace ci ha rimesso la vita, è appunto un modo maschile e dolorosamente sincero, che svela tutti i pensieri più bassi che possono attraversare la mente di un giovane uomo che affronta per la prima volta il dramma di una malattia che colpisce la parte più simbolicamente femminile della sua giovane e bella moglie. Dai brani letti, dalle parole di Kluun tradotte da Claudia Di Palermo (che per tutta la durata della presentazione ho tentato di ricordare perché mi sembrava di conoscere, e alla fine ho scoperto che andava al mio stesso liceo) ho capito che Love life è scritto senza retorica con un linguaggio crudo, ironico ma commovente al punto che l’autore ha confessato di non riuscire a leggerne in pubblico certe parti, in particolare quelle finali, quando Carmen saluta sua figlia Luna prima di bere il bibitone con cui sceglie di morire prima di essere uccisa dalla malattia (siamo in Olanda, non dimentichiamolo…).

Scrivere questo libro è stato il modo per prendere veramente congedo da sua moglie, e dichiararle tutto il suo amore. Anche il racconto della genesi del romanzo mi ha impressionato. Dopo la morte di Carmen (o come si chiama  nella realtà) si è preso una lunga aspettativa ed è andato in Australia con sua figlia. Lì, nel camper, ogni sera dopo aver messo a dormire la bambina completava il diario che sua moglie aveva scritto per lei, e che le ultime settimane aveva dovuto interrompere perché non riusciva più a tenere una penna in mano. Tornato in Olanda ha scritto il romanzo in sei mesi, e quasi immediatamente ha avuto un successo straordinario. Quasi un milione di copie vendute solo lì.

Io mi preparo a piangere, a star male. Ma lo voglio assolutamente leggere.

EUTANASIA

Pochi giorni fa ho rivisto il film Mare dentro, e non era ancora scoppiato il caso Welby. Il dibattito sull’eutanasia implica questioni enormi, ma come spesso accade in questo paese è probabile che si trasformerà in un referendum pesantemente influenzato dal Vaticano.

Non capisco chi parla di diritto alla vita ignorando la percezione che quell’essere umano, gravemente malato, ha della propria esistenza. “Questa non è vita” continuava a ripetere Ramón Sampedro, il protagonista del film durante la sua battaglia legale per ottenere il permesso di “morire con dignità”. "Gli altri tetraplegici non si offendano per la mia decisione, ma io non giudico chi vuole vivere e vorrei che loro non giudicassero me".

 


Come una funambola

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