Archive for the 'Disastri' Category

La vita ai tempi del Covid-19

Nessuno di noi immaginava che in poco tempo ci saremmo trovati a vivere una situazione così estrema, un’epidemia da fronteggiare con misure drastiche che limitano fortemente le nostre libertà e cambiano radicalmente il nostro modo di vivere. Le città improvvisamente si svuotano, i corpi si allontanano, le abitudini cedono il passo a nuovi comportamenti che diventano tali dopo essere stati suggeriti, consigliati, infine imposti per legge. Il nemico invisibile si diffonde, dilaga, e ci costringe brutalmente a fare i conti con la parola contagio.

Fino a un paio di settimane fa mi rivolgevo infastidita a chi si mostrava spaventato: “ho avuto il cancro, le metastasi, quelle sì che mi facevano paura.” Come se non ci fosse una drammatica relazione tra questo virus e le altre malattie, non contagiose, proprio come il cancro.

Ora è tutto cambiato, l’epidemia proprio oggi è stata dichiarata pandemia, la velocità di trasmissione ha costretto il governo a prendere misure drastiche, sono tornata da una settimana di vacanza in montagna appena in tempo, piena di preoccupazioni e sensi di colpa. E mi sono ricordata di quando, in piena chemio e con le difese immunitarie quasi a zero mi ero dovuta ricoverare in ospedale perché avevo la febbre, che non scendeva.

Penso a tutte le persone che sono ora sotto chemio, e rischiano, rischiano moltissimo. In alcuni casi si sta consigliando di sospendere le terapie. Sapete cosa significa quando per qualche ragione sei costretta a saltare un ciclo di chemio? Che ti viene una paura ancora più fottuta, perché stai interrompendo la cura che ti salva la vita. E non vedi l’ora di poterla fare, aspetti i risultati dell’emocromo di controllo che ti dica, in sostanza “va bene, i globuli bianchi sono risaliti, si può ricominciare a bombardare il bastardo.”

E poi c’è il problema della terapia intensiva, i posti che rischiano di non esserci più, non solo per i malati di Covid-19 ma pure per tutti quelli che per molte altre ragioni hanno bisogno di essere attaccati a un respiratore, per esempio. Anche solo per morire senza sofferenza.

Penso alle persone anziane che rischiano pure moltissimo, e poco fa, quando sono passata a salutare mia madre e a portarle qualcosa di cui aveva bisogno mi è salito un groppo alla gola mentre m’infilavo i guanti monouso per trafficare con il suo tablet per spiegarle come usare Facebook, lontana un metro da lei, e sfuggendo ai suoi avvicinamenti involontari. Perché lei ancora non ha imparato, come molti di noi, a vivere a un metro di distanza dagli altri, toccare le maniglie con un fazzoletto, con la manica di un maglione, a lavare ‘ste cazzo di mani in continuazione. Lei non vede i ragazzi del bar con le mascherine, il metro attaccato al bancone, il dispenser di amuchina (no, l’amuchina è diventata oro, gel disinfettante fatto in casa), la città deserta, i negozi chiusi. Lei resta a casa, prende aria in giardino, per fortuna ce l’ha, e si dispera per noi. “Be’, sembra proprio come quando c’era la guerra,” mi ha detto. No, per fortuna non è come la guerra. Non c’è nessuno che volontariamente abbia provocato tutto questo. Non è una guerra, ma un’emergenza sanitaria.

Il lato positivo è che da tutta questa storia, dalla quarantena, questo isolamento forzato che deve aiutare a rallentare e poi fermare il contagio, le persone riescono a tirare fuori anche tanta creatività: Lula e altre 9 amiche e amici hanno organizzato un Decameron 2.0, ognuno rappresenta un personaggio di Boccaccio e nel corso delle dieci giornate previste registra un video dove racconta una delle novelle rivisitate in chiave moderna, che viene pubblicato sui social (Facebook e Instagram)

e fatta lor brigata, da ogni lato separati viveano

 

Agosto

Eccomi qua, l’estate già avanzata, ma per me le vacanze sono iniziate da poco. Un po’ di mare nel luogo del cuore, poi viaggio per la Francia con destinazione la città atlantica dove Lula andrà a studiare per un semestre Erasmus.

Già, la piccola Lula, protagonista dei migliori anni di questo blog, è ormai una brillante studentessa in giurisprudenza, molto determinata nel costruire il proprio futuro, proiettata fuori da questo Paese alla deriva. Come me osserva sgomenta la schiuma d’odio che monta, l’imbecillità che strilla ergendosi a nuova, e solo per ciò migliore, classe dirigente. L’ignoranza che impartisce ogni giorno lezioni di tuttologia, l’intolleranza che non si nasconde più, ma si diffonde e propaga come un virus.

“Quasi quasi non torno,” mi ha detto sospirando all’ennesima sparata.

Mi mancherà, certo. Anche se credo farà bene al nostro rapporto un bel periodo di distacco, farà bene a me, che devo imparare ad essere meno “interventista”, a lasciarla andare e lasciarle fare tutto ciò che a vent’anni si può e si deve fare, e a lei, certo, per imparare a cavarsela da sola e a conoscere il mondo, libera.

Tra una settimana avremmo attraversato il ponte Morandi, per raggiungere la prima tappa del viaggio, Nizza. Come i quattro ragazzi di Torre del Greco, che invece il ponte lo hanno attraversato proprio mentre crollava. Quella notte ho faticato ad addormentarmi.

Anche questa tragedia, con la corsa a scaricare o a indicare responsabilità, è l’ennesima occasione per sfoggiare competenze che non si hanno, opinioni che si sono formate sui social in pochi minuti, trasformando immunologi in ingegneri, esperti in diritto della navigazione in amministrativisti, rifiutando per partito preso l’idea che ci si possa informare prima di dire la propria. Che possa essere necessario un po’ di silenzio e, soprattutto, di rispetto.

Poco fa osservavo incredula e disgustata gli applausi al governo e la corsa a fare selfie con il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Interni durante i funerali di Stato, mentre il Presidente della Repubblica abbracciava in lacrime i parenti delle vittime che hanno accettato le esequie pubbliche.

Che pena!

Autunno, e la terra trema ancora

Autunno pieno, le giornate si accorciano, il tempo è passato veloce, aggrovigliato da pensieri di ordine pratico che hanno levato spazio alle divagazioni più creative.

Ieri la terra ha tremato ancora, qui a Roma l’abbiamo sentita in tanti, e la paura è tornata tra chi il 24 agosto ha perso tanto, troppo. La casa, persone care.

Non mi era mai successo di sentire così bene un terremoto, anche se ero in un piano basso. Forse perché altre volte era notte, e la percezione della scossa era più attutita dal buio e dal sonno. Durante la prima scossa ero a danza, e non ci siamo accorte di niente. Poi a casa Sten mi ha raccontato di quanto l’avesse sentita forte, e pure Lula, mentre era in biblioteca all’università. Mentre mi asciugavo i capelli ecco arrivare una sensazione di malessere, una specie di mal di mare, e invece sapevo benissimo cosa fosse. Di nuovo! Lunga, angosciante. Angosciante per me, figuriamoci per chi si trovava lì. Per chi ha rivissuto il dramma di agosto.

Forse proprio grazie a quel dramma ieri il terremoto non ha provocato morti. Ma i crolli, le lesioni, la distruzione che cancella interi paesi fanno malissimo al cuore e immagino che mettono a dura prova la capacità di reazione delle persone.

Eppure con il rischio sismico in Italia dovremmo imparare a convivere, una volta per tutte.

Mio padre lo diceva sempre.

 

Che mondo è?

Questo mondo è sempre più brutto e spaventoso, e mi addolora constatare che è finito il tempo in cui sentivamo di vivere un’epoca decisamente migliore delle precedenti, almeno in Europa.

Mentre si allunga la lista dei Paesi dove non è più possibile andare, anche le nostre città possono ogni giorno diventare teatro di stragi: può essere fatale andare a un concerto, passeggiare sul lungomare a guardare i fuochi d’artificio, andare allo stadio, mangiare al ristorante. Per non parlare di aeroporti, stazioni, autobus.

Sarò preoccupata quando Lula tra poco attraverserà l’Europa con i suoi amici ed è inevitabile confrontare con quanta leggerezza invece viaggiavamo alla sua età, senza cellulari, senza soldi, senza paura.

Non sappiamo quanto durerà questo stato d’insicurezza, anche perché il rischio che possano moltiplicarsi gli elementi che generano intolleranza e violenza è altissimo.

Cosa succederebbe se Trump vincesse le elezioni presidenziali negli Stati Uniti?

A cosa porterà la feroce repressione del presidente turco Erdogan dopo il tentativo di golpe farlocco?

E penso alle migliaia di persone che scappano da luoghi molto più disgraziati dei nostri e devono vivere l’inferno del viaggio clandestino e, se sopravvivono,  vengono respinti, criminalizzati o non accolti in modo dignitoso.

Ma che mondo è questo?

Ormai non si tratta più di volerlo cambiare ma di ritrovarvi almeno un minimo di sensatezza. 
 

 

 

Mentre fuori piove

Mi piace, come sempre, questa dimensione sospesa, di riposo e raccoglimento post-operatorio, una specie di vacanza domestica. Mentre l’innesto si assesta, il corpo riceve cure amorevoli e la mente ha la libertà di astrarsi dalle contingenze quotidiane. Riallaccio i fili narrativi lasciati appesi, o li recido con un colpo netto.

Dal mio minuscolo mondo osservo con sgomento quello che fuori si sgretola sotto la pioggia e annega nel fango, i disperati che si accaniscono sui più disperati, il dolore che si accumula sul dolore, le ferite che insistono sulle solite, vecchie ferite.

Ricomincia a piovere, per me è un fastidio che lascio fuori casa, per altri è un incubo senza fine.

Dissesto

Un anno fa era una giornata bellissima, con il mare calmo, e il dolore fresco.

Oggi piove, una pioggia di lacrime che non riesco più a piangere come vorrei.

In queste ore di disastri idrogeologici non ho fatto altro che pensare a lui, a quello che avrebbe detto, a quanto si sarebbe arrabbiato per l’incuria verso il territorio di questo nostro paese così a rischio, così bello, e così maltrattato.

Quando ero ancora una studentessa universitaria di storia dell’arte e mi preoccupavo del mio futuro professionale papà mi diceva sempre che l’Italia potrebbe essere un paese meraviglioso, pieno di lavoro e di ricchezza, se solo ci si occupasse come si deve del nostro patrimonio artistico e del nostro ambiente naturale.

Arte e natura.

Pompei si sbriciola, le cinque terre smottano, un ponte inutile e mai realizzato (e che per fortuna mai si realizzerà) si è divorato milioni di euro che sarebbero dovuti andare alla manutenzione dei fiumi, dei torrenti, dei siti archeologici, delle reti fognarie, donne e bambine muoiono a Genova travolte dall’acqua, i condoni assecondano lo scempio edilizio, i palazzi fatti di sabbia uccidono gli studenti dell’Aquila.

Bisognerà ripartire da lì, non appena riusciremo a liberarci di chi ci ha portato fin qui. Non si può che ripartire dalla cura del pezzo di pianeta che abitiamo e delle cose belle fatte da chi lo ha abitato prima di noi. Senza il rispetto per il passato, il presente e il futuro non possono che impantanarsi nel fango. Se siamo costretti a fronteggiare continue distruzioni, come sarà possibile occuparsi di nuove creazioni, di lasciare segni e non sfregi a chi verrà dopo di noi?

Mi mancano le sue parole sagge, quelle nostre chiacchierate piene di sdegno e di pena per la nostra povera patria.


Come una funambola

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