Mentre sciopero e accudisco una Lula addormentata e raffreddata continuo a riflettere sul tema caldo e drammatico di queste settimane. Continuo a rifletterci perché sono davvero convinta che su questo tema si stia giocando la partita fondamentale non solo e non tanto per riaffermare la laicità dello Stato, ma quella per garantire sempre e comunque la libertà suprema di ciascuno, quella cioè di disporre del proprio corpo. Infatti, proprio su questo tema, la libertà di decidere sul proprio morire, sul senso della propria vita nella malattia e nel dolore, i vari politici cattolici alla Formigoni, tanto per dirne uno che giusto ieri sera ho ascoltato ad Annozero, balbettano e, incalzati, si rifiutano di rispondere all’ovvia domanda: “se tu devi essere garantito nel tuo diritto di continuare a vivere anche in caso di stato vegetativo permanente, e non vuoi che ti venga interrotta la nutrizione e idratazione forzata, perché io, che lo dichiaro ora, in piena coscienza, non potrò avere garantito il diritto contrario?” Perché, è bene ricordarlo ancora e ancora e ancora, la legge presentata dalla maggioranza dice che: nutrizione e idratazione sono «forme di sostegno vitale» e «atti eticamente e deontologicamente dovuti». Di conseguenza non possono essere oggetto di Dichiarazione anticipata di trattamento (Dat) o Testamento biologico.
In realtà quello che non hanno il coraggio di dire è che non hanno nessuna intenzione di rispettare convinzioni altre da quelle stabilite da uno Stato straniero che si chiama Città del Vaticano.
Formigoni sostiene che quella praticata su Eluana non fosse nutrizione artificiale, ma nutrizione e basta, e che la legge debba garantire appunto che in nessun caso venga privato un essere umano del sostegno nutrizionale. Bersani gli ha ribattuto che invece quella è considerata universalmente dalla comunità scientifica una tecnica medica, a cui un essere umano non può essere asservito obbligatoriamente. E ancora, il solito Formigoni, ma con lui intendo indicare il paradigma delle posizioni cattovaticane, ha messo in dubbio che quella fosse la volontà di Eluana Englaro, e ha continuato ad usare espressioni come “mandata a morte”. Ha contestato la testimonianza della giornalista che ha potuto visitare Eluana il giorno prima che morisse e che ha descritto, su richiesta di Beppino Englaro, quale fosse la sua reale situazione. Ha continuato a gridare che quella donna era viva e “serena”, che un giorno si sarebbe potuta svegliare e che quindi bisognava “salvarla” a qualunque costo.
Ripeto queste parole perché rileggendole il moto di ribellione che da giorni si è acceso nella mia coscienza aumenta. E io voglio esattamente questo, come ha auspicato Beppino ieri, parlando con un giornalista di Annozero: se dovesse passare una legge sul testamento biologico per la quale non sia possibile in nessun caso rinunciare a nutrizione e idratazione artificiali, i cittadini dovrebbero ribellarsi.
Non solo. Come ha spiegato bene Ignazio Marino la legge in discussione prevede il divieto di qualunque attività medica omissiva che possa condurre alla morte: questo significa che se un macchinario tiene in vita una persona, non sarà possibile, nemmeno in caso di volontà dichiarata della persona malata, spegnerlo.
Guarire da una malattia, e qui parlo esperienza personale e diretta, è anche un atto di volontà. Quando questa volontà è assente anche la medicina più avanzata non funziona, e la malattia ha il sopravvento. Io posso rispettare e comprendere chi, animato da una profonda fede religiosa, sopporti di vivere in uno stato di gravissima e incurabile disabilità, nella sofferenza e nel dolore. O si carichi del peso e della responsabilità di stare accanto al proprio caro non più in grado di esprimere il proprio volere e di cui non si conosca la volontà espressa in coscienza. Rispetto chi teme la morte più di una vita vegetativa e credo che abbia diritto ad avere tutti i sostegni medici che permettano di non recidere anche l’ultimo filo.
Ma se io intendo la vita come un’esperienza libera e autonoma, fatta di interazioni, comunicazione, espressione di affetti, idee, pensieri, nessuno può obbligarmi a considerare il vegetare un’esistenza degna di essere vissuta. Anche perché certamente non guarirò mai se non sarò in grado, in qualche modo, di esercitare la mia “volontà guaritrice” tramite un qualche genere di facoltà mentale e se davanti a me avrò invece la prospettiva, scientificamente accertata, di restare in quell’identico stato per un numero indefinito e indefinibile di anni. Allo stesso modo, nessuno può sostituirsi a chi, legalmente, faccia i miei interessi perché mi trovo in uno stato di incapacità d’intendere e di volere. Il tutore, in base agli articoli 357 e 424 del codice civile, ha la cura della persona "con la conseguenza che nell’interesse del soggetto è legittimato a esprimere o a rifiutare il consenso al trattamento terapeutico". Così, in assenza di un testamento biologico scritto, è giusto che il tutore della persona incapace sia libero di prendere le decisioni che meglio rispetterebbero le sue volontà, o quelle che il tutore prenderebbe per se stesso.
Si torna direttamente al problema fondamentale, che sarà anche al centro della discussione sulla legge: se nutrizione e idratazione artificiali siano considerabili trattamenti sanitari. Mi pare che esistano già molti e autorevoli pareri scientifici, nonché le legislazioni sul fine vita di tutti i paesi civili. E’ in base a quelli che i legislatori dovranno agire, se non vogliamo che questo paese, dopo essere diventato un paese dove si fa fatica a procreare, diventi pure il luogo in cui sia obbligatorio vivere vegetando e impossibile morire in santa pace.
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