Il libro comincia a circolare, viene acquistato, letto, prestato, regalato. Una cosa bellissima la stanno facendo le cancer bloggheresse: hanno pensato di regalare una copia in memoria di papà ai centri oncologici che ognuna di loro frequenta. Adesso aspetto trepidante che ne pensa Anna Lisa, l’unica del gruppo a cui l’ho mandato, visto che si trova da quattro settimane in ospedale – in beauty farm, come lo chiama lei.
Due cose mi vengono dette costantemente da chi lo legge: che prende e che ci si commuove tanto. E pure che è un vero libro.
Mi dispiace tanto che papà non abbia potuto leggere Come una funambola, dall’inizio alla fine. L’ho visto com’era curioso quella mattina che sfogliavamo insieme a mamma la prima prova di stampa, mentre aspettavamo che entrasse a fare la chemio. E com’era stata acuta la sua osservazione sulla foto della copertina, che gli era piaciuta tanto, anche se mi aveva invitato a ingrandirla per renderne più visibile il legame con il titolo. Aveva ragione, e infatti mi sono messa a navigare come una pazza per ritrovare quella foto in rete nelle dimensioni giuste. Certo, non avrebbe cambiato il corso della sua malattia, troppo cattiva e avanzata per fermarsi, ma voglio credere che sarei riuscita a trasmettergli qualcosa del mio modo di reagire. Che avrebbe compreso quello che non ero in grado di spiegargli guardandolo negli occhi e leggendovi dentro un rassegnato sgomento.
Ma ho fatto una promessa con me stessa: niente rimpianti, dietrologie, rancore verso ciò che è stato, domande inutili, imprecazioni contro un destino che ha infierito impietosamente. La parola d’ordine è: accettazione e nutrimento dei ricordi, quelli più cari e confortanti, che riempiono il cuore, e non lo scavano.
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