Ci ho pensato un po’, e alla fine ho deciso di scrivere qualcosa sulla polemica di questi giorni scatenata su twitter dalle parole usate della conduttrice Nadia Toffa per annunciare l’uscita di un suo libro: “vi spiego come sono riuscita a trasformare quello che tutti considerano una sfiga, il cancro, in un dono, un’occasione, un’opportunità. Pieno d’amore.”
Una come me, che per tanti anni, attraverso questo blog, il portale collettivo Oltreilcancro e due libri, ha raccontato la malattia, la guarigione, intrecciato relazioni con altre donne per sconfiggere il tabù del silenzio legato al cancro, figuriamoci se non solidarizza con tutte le persone che scelgono di raccontare, esporsi, incoraggiare a infrangere lo stigma.
E quindi brava Nadia, e in bocca al lupo per il libro, ma soprattutto per te, per la tua salute e per la tua nuova vita.
Però proprio tu che sei una donna più esposta di altre, conosciuta, seguita e giustamente apprezzata anche per il modo in cui hai affrontato la malattia, la tua malattia, il tuo cancro, devi sapere che le parole, soprattutto se contratte nello spazio limitato di un tweet possono diventare pesanti, sbagliate, offensive, quando invece l’intenzione, lo capisco davvero, magari era solo quello di trasmettere un messaggio positivo, incoraggiante.
Perché no, i tumori non sono tutti uguali, come scrivi in risposta ai primi commenti perplessi, non è vero che se ce l’hai fatta tu allora ce la possono fare tutti, non è vero che basta curarsi, controllarsi, e metterci tutta l’energia positiva possibile per guarire.
Succede. A me è successo. Dopo quasi vent’anni dal primo cancro al seno, e tredici dalla scoperta delle sue metastasi, posso dirlo.
E tante volte ho incoraggiato altri a combattere con determinazione quella che definivo una battaglia (non una guerra, attenzione) anche quando le forze in campo erano drammaticamente impari. L’ho fatto con le mie amiche blogger che non ci sono più, Anna e Anna Lisa, l’ho fatto con mio padre, l’ho fatto con l’amica/sorella Silvia. Assenze che ora pesano troppo per lasciar correre riflessioni così leggere.
Certo che l’atteggiamento positivo aiuta a guarire. Qualunque malattia peggiora se il nostro stato d’animo è negativo. Il mio oncologo parlava sempre di concause quando tentavo di estorcergli parole definitive sulle cause del cancro. Sono convinta che molto dipenda da quello che ci accade dentro, traumi, stress, depressione. Ma il processo inverso è più complicato, e non dobbiamo colpevolizzarci se non riusciamo a governare la nostra mente al punto da rendere sempre reversibile il processo della malattia. Per fortuna in questo ci aiuta la medicina, la scienza, un sistema sanitario che permette anche a chi è più povero di ricevere le cure più avanzate. Anche questo però, certe volte, non basta.
Ho letto la sofferenza nei molti commenti di chi non può sentir definire una malattia che può uccidere e uccide “un dono”. Poi, purtroppo, c’è sempre chi esagera e insulta, senza nemmeno provare a comprendere che cosa significhi vivere con il cancro, con le terapie che sembrano più cattive del male, con la fatica, sostenuta però dal desiderio di ricominciare un’esistenza nuova, arricchita per certi versi (da qui, lo capisco, l’origine del tuo trasformare in dono), depauperata per altri.
Viviamo in tempi in cui la comunicazione può cannibalizzare il pensiero vomitando a singhiozzo paure, rabbia, meschinità, odio vero.
Per questo non ho affidato le mie riflessioni a twitter (riflessione e twitter probabilmente non sono termini compatibili), ma qui, nel mio vecchio blog, dove le parole si assestano con il tempo, i ricordi e le storie vissute.
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