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Non sono tutti uguali

Ci ho pensato un po’, e alla fine ho deciso di scrivere qualcosa sulla polemica di questi giorni scatenata su twitter dalle parole usate della conduttrice Nadia Toffa per annunciare l’uscita di un suo libro: “vi spiego come sono riuscita a trasformare quello che tutti considerano una sfiga, il cancro, in un dono, un’occasione, un’opportunità. Pieno d’amore.”

Una come me, che per tanti anni, attraverso questo blog, il portale collettivo Oltreilcancro e due libri, ha raccontato la malattia, la guarigione, intrecciato relazioni con altre donne per sconfiggere il tabù del silenzio legato al cancro, figuriamoci se non solidarizza con tutte le persone che scelgono di raccontare, esporsi, incoraggiare a infrangere lo stigma.

E quindi brava Nadia, e in bocca al lupo per il libro, ma soprattutto per te, per la tua salute e per la tua nuova vita.

Però proprio tu che sei una donna più esposta di altre, conosciuta, seguita e giustamente apprezzata anche per il modo in cui hai affrontato la malattia, la tua malattia, il tuo cancro, devi sapere che le parole, soprattutto se contratte nello spazio limitato di un tweet possono diventare pesanti, sbagliate, offensive, quando invece l’intenzione, lo capisco davvero, magari era solo quello di trasmettere un messaggio positivo, incoraggiante.

Perché no, i tumori non sono tutti uguali, come scrivi in risposta ai primi commenti perplessi, non è vero che se ce l’hai fatta tu allora ce la possono fare tutti, non è vero che basta curarsi, controllarsi, e metterci tutta l’energia positiva possibile per guarire.

Succede. A me è successo. Dopo quasi vent’anni dal primo cancro al seno, e tredici dalla scoperta delle sue metastasi, posso dirlo.

E tante volte ho incoraggiato altri a combattere con determinazione quella che definivo una battaglia (non una guerra, attenzione) anche quando le forze in campo erano drammaticamente impari. L’ho fatto con le mie amiche blogger che non ci sono più, Anna e Anna Lisa, l’ho fatto con mio padre, l’ho fatto con l’amica/sorella Silvia. Assenze che ora pesano troppo per lasciar correre riflessioni così leggere.

Certo che l’atteggiamento positivo aiuta a guarire. Qualunque malattia peggiora se il nostro stato d’animo è negativo. Il mio oncologo parlava sempre di concause quando tentavo di estorcergli parole definitive sulle cause del cancro. Sono convinta che molto dipenda da quello che ci accade dentro, traumi, stress, depressione. Ma il processo inverso è più complicato, e non dobbiamo colpevolizzarci se non riusciamo a governare la nostra mente al punto da rendere sempre reversibile il processo della malattia. Per fortuna in questo ci aiuta la medicina, la scienza, un sistema sanitario che permette anche a chi è più povero di ricevere le cure più avanzate. Anche questo però, certe volte, non basta.

Ho letto la sofferenza nei molti commenti di chi non può sentir definire una malattia che può uccidere e uccide “un dono”. Poi, purtroppo, c’è sempre chi esagera e insulta, senza nemmeno provare a comprendere che cosa significhi vivere con il cancro, con le terapie che sembrano più cattive del male, con la fatica, sostenuta però dal desiderio di ricominciare un’esistenza nuova, arricchita per certi versi (da qui, lo capisco, l’origine del tuo trasformare in dono), depauperata per altri.

Viviamo in tempi in cui la comunicazione può cannibalizzare il pensiero vomitando a singhiozzo paure, rabbia, meschinità, odio vero.

Per questo non ho affidato le mie riflessioni a twitter (riflessione e twitter probabilmente non sono termini compatibili), ma qui, nel mio vecchio blog, dove le parole si assestano con il tempo, i ricordi e le storie vissute.

Non mi rassegno

Della mia vita questo blog non racconta quasi più niente. Della mia vita, di questo triste Paese che respinge migranti, cancella la memoria, premia chi soffia sul fuoco dell’odio, inneggia a chi alza muri, chiude porti, stravolge il sentire comune, promette di tornare al passato più oscuro, illude con promesse apparentemente irresistibili. Menzogne.

Ma quando c’è chi diffonde messaggi quotidiani che stanno cambiando insieme ai connotati culturali e politici dell’Italia, la sua stessa anima, a forza di strappi, provocazioni, violazioni delle più elementari norme di convivenza civile, non possiamo restare in silenzio, bisogna usare le nostre parole, rispondere e rispondere, e ricostruire, indicare un’altra strada, riaccendere la speranza in chi scuote la testa e si sente impotente.

Ci vorranno tempo, passione, e anni di resistenza.

Ma io, a Salvini, non mi rassegno.

Di mammografie, diagnosi precoce, e delle insopportabili uscite di Grillo

Ci ho pensato molto, prima di scrivere questo post sulla pessima uscita di Grillo contro Veronesi e contro l’eccesso di prescrizioni di mammografie che, secondo il nuovo genio comico dell’oncologia italiana, non servono, se non per biechi interessi, in particolare di Veronesi.  Poi, per metterci una pezza, ha dichiarato che non intendeva dire che la mammografia non serve, ma che può dare falsi risultati positivi inutilmente allarmanti, e che ce l’aveva con chi pensa che fare la mammografia previene il cancro al seno. Ah sì? C’è qualcuno che pensa questo?

Dunque, sì, ‘sto post lo devo proprio scrivere, anche se ovviamente ci sono state già tante repliche, come questa http://www.wired.it/scienza/medicina/2015/05/11/grillo-efficacia-mammografia-tumore-seno/, a cui volentieri rimando per approfondire gli aspetti più propriamente scientifici.

Il fatto è che bisogna sempre fare chiarezza su questo tema, perché stiamo parlando di cose serie, di messaggi che non devono proprio passare, di cialtronerie che un uomo pubblico non può permettersi di comunicare.

Prima di tutto, signor Grillo, credo che nessuna donna che si sottopone a mammografia possa credere che in questo modo eviterà di avere il cancro. E nessuno ci ha mai indotte a pensare questo. Caso mai è esattamente l’opposto. La mammografia serve a scoprire se si ha un tumore, anche in fase iniziale, quando altri strumenti diagnostici meno invasivi come l’ecografia, o la semplice palpazione, possono non essere sufficienti a individuare un piccolissimo maledettissimo nodulo. Scoprire questo significa fare diagnosi precoce, quindi aumentare enormemente la possibilità di curare il cancro e guarire.

Ma so che a Grillo questa storia degli screening oncologici proprio non va giù, infatti anni fa ho pescato nel programma del M5S questa roba qui: “Informare sulla prevenzione primaria (alimentazione sana, attività fisica, astensione dal fumo) e sui limiti della prevenzione secondaria (screening, diagnosi precoce, medicina predittiva), ridimensionandone la portata, perché spesso risponde a logiche commerciali

Grillo quindi sta continuando in maniera assolutamente coerente a perseguire l’obbiettivo di ridimensionare il valore della “prevenzione secondaria” – screening e diagnosi precoce – “perché spesso risponde a logiche commerciali.”

Ma lui lo sa quante persone hanno scoperto e curato tumori proprio grazie agli screening gratuiti che vengono offerti dalle Regioni? Lo sa che, piuttosto, bisognerebbe permettere anche alle più giovani di potersi controllare gratuitamente, perché sono tante, troppe, le donne sotto i quarantacinque anni che non hanno potuto avere una diagnosi precoce, e per questo sono morte?

Se la mia diagnosi, nel 1999, fosse stata precoce, probabilmente dopo sei anni non avrei avuto due metastasi al fegato. E se quelle metastasi non fossero state avvistate in tempo, grazie a quella che invece, per fortuna, è stata una diagnosi assai precoce, probabilmente ora sarei morta.

E quindi, Grillo, le consiglio di cambiare il vostro ridicolo programma sulla salute, e smettere di andare in giro a straparlare su cose tanto importanti, di cui lei, evidentemente, non sa proprio niente.

Il termine “prevenzione”, certo, può generare qualche confusione. Ma le assicuro che le persone intelligenti sanno benissimo che uno stile di vita sana può impedire l’insorgere di molte malattie, anche il cancro. Ma se la malattia c’è, e silenziosa inizia a divorare il corpo, bisogna stanarla. E poi curarla.

Preferisco che si facciano troppe mammografie, piuttosto che troppo poche.

Preferisco che qualcuna si prenda uno spavento inutile, ma qualcun’altra si salvi la vita.

E gli interessi economici sono ovunque. Perché, lei, signor Grillo, non li ha?

Gipi e Zerocalcare: narrare a fumetti

Ieri sono andata all’Auditorium per sentire la chiacchierata tra due fumettisti italiani, Gipi e Zerocalcare, invitati alla festa del libro “Libri come”. In realtà conoscevo solo quello più giovane, Zerocalcare, di cui ho letto molte delle storie pubblicate sul suo blog, l’ultimo dei suoi libri, una storia di famiglia biografica e surreale a fumetti, bellissimo come il titolo (Dimentica il mio nome), e lo strepitoso reportage su Kobane pubblicato su Internazionale

La prima sua storia che mi è capitato di leggere è una roba esilarante sui “vecchi che usano il pc”. Chi di noi non ha dovuto affrontare i problemi informatici di un parente, diciamo così, poco esperto, esemplificabili nell’evergreen “non mi trovo più google?”

Insomma, dopo averlo scoperto Zerocalcare si può solo amare.

Non avevo comprato il biglietto, i posti erano ovviamente esauriti e quando sono arrivata ero l’ultima di una lunghissima fila di persone senza biglietto che speravano di poter entrare comunque. E invece ho avuto una botta di culo, si è avvicinata una tizia e ha chiesto se ci fosse qualcuno da solo perché lei aveva un biglietto in più. Ero io. Quella da sola ero io. Sten stava in treno di ritorno da una puntata ai suoi lidi natii, Lula, a cui Zerocalcare piace tanto, era da qualche parte con una sua amica. Io invece c’ero, e mi sono beccata un posto fantastico in quarta fila.

Niente moderatore, molte domande dal pubblico, Gipi fresco di matrimonio, disinvolto e spassoso, Zerocalcare timidissimo, ma sempre pronto con battute fulminanti.

Gipi ha spiegato il successo di Zerocalcare nella sua capacità di essere un narratore/fumettista contemporaneo.  Sembra un’ovvietà esserlo, invece no, non lo è affatto. Bisogna essere capaci di esprimere se stessi nel mondo e interpretare ciò che il mondo ha da dirci.

E poi, quello che a me piace moltissimo di Zerocalcare, e chi mi legge qui capisce perché, è il dato di partenza biografico, del vissuto che si fa universale. Sia che si parli dei problemi piccoli e quotidiani, che di quelli personalissimi come un lutto da elaborare, o collettivi come quelli legati alla resistenza curda all’Is in Siria. Questo vale anche per Gipi, come ho scoperto ieri, e prometto che inizierò a leggere presto i suoi libri (in particolare La mia vita disegnata male e Una storia).

 

 

 

Guardare come brucia un uomo?

Non esiste un motivo valido per cui un sito d’informazione, come Servizio pubblico, debba pubblicare integralmente – o anche solo pubblicare, in effetti – il video contenente l’orrore dell’esecuzione di un uomo, chiuso in una gabbia e dato alle fiamme. Perché assecondare la spettacolarizzazione che i carnefici del califfato vogliono fare delle loro gesta mostruose? Non è censura, perché l’informazione puoi darmela correttamente anche solo con le parole, anzi, le parole possono essere molto più efficaci, se l’intenzione è quella di informare e forse anche, com’è giusto, per fenomeni gravi e pericolosi come questo, suscitare indignazione, reazione civile. Non dovrebbe essere questo il compito del giornalismo? Andare a vedere quello che accade nel mondo e raccontarlo. Utilizzare un video prodotto consapevolmente per diffondere orrore, terrore, eccitare violenza e fanatismo sadico e dire ecco, vedi, ti sto informando, guarda anche tu cosa succede al povero pilota giordano arso vivo, non è giornalismo. Oppure, guarda, ora sai anche tu come i boia vestiti di nero tagliano la testa all’ostaggio di turno. No, io non voglio guardare. E certo che non sono obbligata a farlo, ci mancherebbe, ma subito prima dell’avviso “Attenzione. Queste immagini possono urtare la vostra sensibilità” si dice: “non possiamo voltarci dall’altra parte: l’assuefazione – se non peggio, l’indifferenza – non è permessa”. Dunque, se non guardo il video significa che sono indifferente a una tragedia che si sta compiendo sotto ai miei occhi (perché le immagini sono lì, pronte a scorrere, la carne a bruciare, le teste a saltare, il sangue a scorrere…), e l’indifferenza non è permessa.

Peccato che, se guardi il filmato – ho letto, perché non mi sono fatta impressionare dalla minaccia di essere una indifferente al male – ti becchi pure un po’ di pubblicità, perché quella, invece, è sempre permessa, scuote le coscienze, impedisce l’assuefazione.

 

L’aiuto e le trappole della rete

Il post di Sissi su Oltreilcancro, e poi quello di Wolkerina, affrontano un tema cruciale che mi è capitato di toccare durante una tavola rotonda sulla comunicazione tra medico e paziente in oncologia organizzata dal Dipartimento di psicologia  dei processi di sviluppo e socializzazione della Facoltà di Psicologia di Roma: l’utilità e i rischi di un potente motore di ricerca come Google per chi si ammala di cancro e cerca informazioni sulla propria malattia, sulle cure, sulla prognosi, sulla chemioterapia, eccetera eccetera.

Per me, per chi di noi frequenta la rete da anni e grazie alla rete ha costruito relazioni, progetti, spazi di comunicazione e discussione che abbiamo considerato parte integrate del nostro percorso di cura, è quasi scontato considerare Google, come dice Sissi, uno strumento “amico”. Eppure di storie come quella di Kim Thinkham, morta perché si era affidata a una presunta cura alternativa alla chemioterapia trovata facendo ricerche su Internet, forse ce ne sono più di quante sospettiamo. Anche per questo abbiamo fatto nascere Oltreilcancro, specificando sulla home page che “non è un forum sul cancro, bensì un metablog che raccoglie post apparsi sui blog degli autori, in cui si raccontano esperienze con il cancro”, e che “Oltreilcancro non promuove, non appoggia, non pubblicizza e non intende essere cassa di risonanza per alcun tipo di terapia, convenzionale o meno. Unicamente per questo motivo, ogni commento orientato contro questa posizione verrà rimosso dagli autori.”

Chi mi conosce e ha letto i miei post relativi al periodo in cui mi curavo le metastasi epatiche scoperte alla fine del 2005 sa che non mi sono accontentata della medicina tradizionale, ma ho cercato con ottimi risultati di integrarla con tutto ciò che ritenevo potesse contribuire a curarmi, o almeno a farmi stare meglio. Ma né il medico cinese insegnante di Qi gong, né la guaritrice che mi ha insegnato a meditare sui chakra si sono sognati di mettere in dubbio le terapie oncologiche che avrei iniziato di lì a poco. Perché se è fondamentale l’integrazione delle risorse, altrettanto fondamentale è la fiducia nel proprio medico e nella cura che ci propone.

E invece, come per qualunque argomento, in rete circola di tutto, la buona e la cattiva informazione, i saggi e i ciarlatani, consigli preziosi e idee pericolosissime. Lo ripeto, anche per questo abbiamo fondato Oltreilcancro, perché da una ricerca su Google fosse più semplice imbattersi nelle diverse esperienze che ciascuna di noi stava raccontando nel proprio blog, e poterne ricavare qualche genere di aiuto, o di incoraggiamento.

Anche perché, come ho cercato di spiegare durante la tavola rotonda, ci sono molti aspetti importanti per un paziente oncologico che sfuggono alla comunicazione che avviene con i medici, o con il medico, se si ha la fortuna di avere un solo oncologo di riferimento, e che invece sono raccontati e dibattuti ormai diffusamente da chi ha scelto di condividere la propria condizione in rete, dai forum, ai blog, ai social network. Inutile cercare di impedire a chi scopre di avere il cancro di fare qualche ricerca su Internet, utilissimo invece sapere che tra i risultati di quelle ricerche potrà trovare non solo la cura miracolosa di un ciarlatano radiato dall’ordine dei medici o addirittura finito in galera, ma risorse in più per affrontare al meglio il percorso terapeutico che, certo, non può essere Google ha impostare, ma una struttura oncologica che talvolta sì, proprio Google può suggerire, attraverso siti di associazioni, portali informativi o scientifici dedicati alla salute (vedi l’ottimo Salute seno, per tutto ciò che ruota attorno alla prevenzione e alla cura del cancro della mammella), persone in carne ed ossa che hanno avuto una buona esperienza di cura e, possibilmente, di comunicazione.

Credo che i miei interlocutori medici della tavola rotonda abbiano accolto il mio invito accorato a considerare con un atteggiamento diverso il paziente che naviga in rete, e a considerare la possibilità di affacciarsi essi stessi al mondo dei cyberpazienti, cancer blogger, narratrici e narratori di esperienze di malattia.

“Ma ci verresti a parlare di queste cose con le mie pazienti?” mi ha chiesto alla fine il professor C.

Che dite, ci vado? 😉

Una tesi sulla blogterapia

A un anno di distanza dalla morte di Anna è stato bello ed emozionante sapere che le sue parole, insieme a quelle di tutti i blog di Oltreilcancro, sono state oggetto di una tesi di laurea in scienze infermieristiche: La narrazione della malattia oncologica attraverso i blog: percezione dei bisogni di assistenza infermieristica da parte della persona assistita, di Francesca Martina.

Quando la settimana scorsa Francesca, che ho conosciuto a Torino alla presentazione di Scriverne fa bene, mi ha comunicato di essersi laureata, e che il suo lavoro aveva ricevuto un grande interesse e apprezzamento da parte della Commissione, ho pensato a quanta strada è stata fatta, in questi quattro anni di vita di Oltreilcancro. Ho pensato soprattutto ad Anna, il cui  post Mr. C. and me citato in esergo è stato letto alla fine della dissertazione, e a quell’insalata di gamberetti che abbiamo mangiato il giorno in cui ci siamo conosciute mentre mi proponeva di “fare qualcosa” tra noi blogger che raccontavamo il cancro.

Ho immaginato a come avremmo commentato, insieme, il fatto di essere diventate “materia di una tesi”. Ho immaginato la sua risata, e un lampo di soddisfazione illuminare i suoi occhi luminosi. E una frase tipo questa:

“Ehi, Giurgett’, una tesi sulla blogterapia. Te lo saresti mai immaginato?”

 

La tesi di Francesca: Tesi MARTINA Francesca

 

Una bella giornata a Viareggio

Quando sono arrivata a Viareggio, giovedì sera, sola soletta, ero proprio dispiaciuta che non ci fosse nessuno con me. Me ne sono andata mestamente a cenare al ristorante dell’albergo sul lungomare, a pochi metri dal centro congressi sulla spiaggia dove si svolge il Festival della salute. Non ho osato avventurarmi alla ricerca di un posto dove mangiare, visto che ero sola. Mentre aspettavo i miei calamari, circondata da turisti stranieri piuttosto anzianotti, mi facevo un po’ tristezza, lo ammetto. Così, dopo aver concluso la mia cena e fatto due chiacchiere con le cameriere ho fatto due passi – due – sul lungomare piuttosto desolato, e sono tornata nella mia stanza, comoda, grande, a riordinare le idee su quello che avrei potuto dire il giorno dopo e a continuare il bellissimo romanzo che sto leggendo, The round house di Louise Eldrich.

La mattina dopo, a colazione, ho notato una tipa che si aggirava incerta tra i tavoli, aveva in mano il programma del Festival, ed evidentemente, come me, era da sola. Le ho offerto posto al mio tavolo, abbiamo iniziato a chiacchierare e ci siamo raccontate perché eravamo lì. Lei, con un po’ di imbarazzo, mi ha detto di essere una senatrice della Repubblica che si occupa di sanità, per questo era stata invitata come relatrice a uno degli appuntamenti del Festival, e quando ha saputo della mia “competenza”, che ve lo dico a fa’, si è aperta ancor di più, visto che anche lei, di recente, ha avuto il suo cancro al seno. Le ho regalato una copia di “Scriverne fa bene”, abbiamo scoperto altre cose in comune, soprattutto più tardi, quando abbiamo pranzato insieme.

Mentre lei si riguardava le slide del suo intervento io ho fatto un giro per il Festival e poi s’è fatta l’ora di andare al Palco della salute, a incontrare Giusy Versace e Elisa D’Ospina e iniziare il nostro incontro con i ragazzi delle scuole e con la senatrice (un’altra!) Granaiola, della Commissione sanità del Senato, moderato dal giornalista Alessandro Pellizzari.

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Credo di aver detto più o meno le stesse cose che dico in occasioni come queste, cercando di adattare le parole al pubblico certamente non avvezzo a sentir parlare di certi argomenti, aiutata anche dalle domande del giornalista.

E sono stata contenta di mescolare la mia esperienza e le mie parole a quelle di Elisa, determinatissima nell’impegno per combattere i disturbi del  comportamento alimentare e per diffondere tra le ragazze un sano amore verso il proprio corpo, e di Giusy, che fa venire i brividi quando la senti raccontare l’incidente che le ha portato via le gambe, e il modo in cui ha ricostruito se stessa, diventando una campionessa di corsa e insegnando a vivere con una disabilità così grave.

La senatrice Granaiola ha raccolto molte delle nostre sollecitazioni, e in particolare ha rassicurato Giusy sull’impegno già avviato per
l’aggiornamento del nomenclatore tariffario delle protesi, fermo al 1999.

Ad aggiungere commozione c’è stato l’intervento dal pubblico della mamma di Manuela, una delle vittime della strage ferroviaria di Viareggio, che ha voluto ringraziarci perché, in qualche modo, siamo riuscite a incoraggiarla e a darle forza in un momento di rinnovato dolore, visto che sta per riprendere il processo per avere verità e fare giustizia e individuare le responsabilità di quella tragedia costata la vita a tante persone. Dopo è venuta ad abbracciarci una ad una, e quell’abbraccio è un’altra che non dimenticherò di questa bella giornata.

 

Me lo merito

Archiviati anche i controlli di questo semestre – in realtà mancano gli esami del sangue, ma diamoli per buoni – oggi dopo un’ottima eco epatica ho avuto una seconda visita al reparto di chirurgia plastica e mi hanno messo in lista per fare il lipofilling al seno nobbuono, dopo che il medico si è accertato che nel mio corpo un po’ di materia grassa da donare alla causa c’è. E certo che c’è. Non sarà proprio una passeggiata, perché per colmare la forte asimmetria provocata dal quarto mancante saranno necessari tre o quattro interventi da fare ogni quattro mesi. Interventi semplici, ma che richiederanno ogni volta un mesetto di riposo, niente danza e altre attività fisiche. “Ma secondo lei ne vale la pena?” ho chiesto leggermente scoraggiata. La risposta del chirurgo è stata articolata, in prima battuta ha risposto che dipende da me, ovviamente non è un intervento necessario alla mia sopravvivenza, non è obbligatorio tornare ad avere un bel seno. Però mi ha spiegato che non si tratta solo di un fatto estetico e psicologico, perché l’asimmetria del mio seno potrebbe dare problemi di postura e quindi di scoliosi. Ma la frase che mi è piaciuta e mi ha convinta di più è stata direi che se lo merita.” Già. Me lo merito. E perciò adesso aspetto la chiamata, che potrà avvenire al massimo tra quattro mesi, e a quel punto forse sarebbe bene far slittare tutto a settembre. Visto che a quanto pare dopo il primo intervento non c’è un gran risultato, tanto vale puntare direttamente all’estate 2015…

Ho lasciato due copie di Scriverne fa bene al radiologo Esse, una per lui e l’altra pensavo che potesse farla avere al reparto di oncologia (che io non frequento, visto che il dottor Zeta sta da un’altra parte). Mentre stavo tornando a casa Esse mi ha telefonato per chiedermi di tornare indietro a parlare del libro con la responsabile dell’unità senologica. Così ho fatto retromarcia, ho ripercorso la bella strada in mezzo alla campagna e ho accettato di partecipare a un’iniziativa di volontari (quasi tutti ex pazienti oncologici dell’ospedale) che si terrà tra una decina di giorni. Mi sembra la situazione ideale per far conoscere l’esperienza della blogterapia raccontata nel libro.

Scriverne fa bene

SCRIVERNEFABENEaltaCi siamo. Il 5 dicembre uscirà Scriverne fa bene. Narrare la malattia, curarsi con un blog, che presenteremo lo stesso giorno, alle 18, alla fiera della piccola e media editoria di Roma Più libri Più liberi, grazie all’editrice Zona – in particolare a Silvia Tessitore, responsabile della collana Storie vere – che lo ha sollecitato e pubblicato.

Interverranno Ritanna Armeni, giornalista scrittrice e conduttrice tv, Maria Teresa Gamucci, direttore unità complessa di oncologia ASL di Frosinone, Stefania Polvani, sociologa, direttore servizio educazione alla salute Asl 10 di Firenze e
coordina Elisa Manacorda, giornalista, direttore di Galileo giornale di scienza.

Qui, trovate la scheda del libro, il programma della presentazione, la possibilità di leggere qualche pagina di anticipazione e la libreria più vicina a casa vostra.

Dopo tanti dubbi e molta fatica emotiva, ora mi sento sollevata soprattutto perché le protagoniste del libro mi sembrano contente di come ho trattato le loro storie. Quindi grazie soprattutto ad Anna, Johanna, Mia, Rosie, SaraSilvia, Wolkerina e, con tanta nostalgia, ad Anna Lisa. Ma un grazie affettuoso va a tutto il gruppo di blogger di Oltreilcancro.it e alle altre esperienze di blogterapia presenti in rete.

Scriverne fa bene, e pure leggere, spero.


Come una funambola

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