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Evviva la ciccia

Bene. Sono a casa da ieri mattina, con un po’ di ciccia in meno dalla pancia, dai fianchi, dall’interno ginocchia – sì, non ridete, avevo l’interno ginocchia un po’ ciccioso – e con la tetta destra rimpinguata a dovere. Un bel lavoretto davvero, sono assolutamente entusiasta e convinta che quando saranno trascorsi i soliti mesi necessari a far assestare l’innesto, (un po’ di grasso verrà riassorbito, e l’effetto bocciona decisamente attenuato), continuerò ad essere entusiasta. Forse anche di più.

Come le altre volte, ho avuto una compagna di stanza piacevole, che ha reso i due giorni scarsi di degenza ancora più lievi, anche se ognuna di noi, essendo lì per motivi simili, ha sempre una storia difficile alle spalle. E però sapevamo entrambe che saremmo uscite da lì senz’altro più soddisfatte del nostro corpo, in parte risarcite dalla sofferenza vissuta a causa del cancro.

Adesso mi godo queste due settimane di riposo e di cura, felice e riconciliata.

Scintilla

Mi sto scervellando per accendere in te la stessa scintilla che quasi dieci anni fa a me ha permesso di affrontare con uno spirito quasi follemente positivo quello che mi era stato diagnosticato: metastasi. Parola terrorizzante. Catapulta verso il peggiore degli incubi.

Questa parola, associata al tuo tipo di cancro, è ancora più cattiva. Lo so, lo sappiamo.

Ma sappiamo che rispetto a pochi anni fa le cose sono cambiate tanto. Il dottor Zeta sta cercando la strategia migliore per te, e io sono certa che la troverà.

Lo so. Non posso pretendere di forzare la natura delle menti altrui, tu non sei me, eppure devo insistere, amica mia.

I nostri pensieri, le nostre parole, hanno una capacità straordinaria di realizzare l’impossibile, rischiarare l’oscurità, e aprire un varco nel groviglio più fitto di disperazione e paura. Distruggere e creare dipende anche da noi. Io ne sono convinta.

Ci sono molte cose da fare, hai già iniziato a farle, hai già valicato la prima montagna.

Non è tempo, ora, di prepararsi al peggio, ma di sfidare quel peggio con coraggio, guardarlo in faccia e cacciarlo indietro, via, via, lontano. Lo puoi fare. Davvero.

 

 

 

 

Elogio del corpo

Sten mi ha fatto una bella foto, mentre uscivo da un mare trasparente camminando tra la schiuma bianca e agitata che fanno le onde quando s’infrangono a riva.

Ho ricevuto tanti complimenti, per quella foto, per il mio corpo che ho ricominciato ad amare come non credevo fosse possibile, a quarantotto anni, con tutti i segni delle operazioni subite, con i cedimenti dell’età e della precoce menopausa.

I complimenti fanno bene, è salutare la stima di sé, il piacere di essere guardata con una certa ammirazione, e di riuscire a guardarmi con indulgente leggerezza, da una prospettiva nuova, dopo anni e anni di strappi, ricuciture, ferite, e ricostruzioni.

A proposito di ricostruzioni, a settembre concluderò il percorso iniziato oltre un anno fa, e ora posso dire con assoluta certezza che ho fatto benissimo ad assecondare quello che solo gli sciocchi consideravano un futile capriccio.

 

 

 

 

Attecchimento

Quanto mi piace stare a casa. Avere il privilegio di non staccarmi dalla lettura di un libro coinvolgente come Il cardellino di Donna Tartt, gironzolare in tuta – o con qualunque altro paio di pantaloni comodi che possano entrarmi sopra ai lipopants contenitivi che devo portare ancora per una settimana – concedendomi giusto una passeggiata pigra fino al giornalaio, prenotare online dopo ore di ricerche e incertezze il viaggio estivo per me e Sten, in Portogallo (Lula beata lei sarà ospitata nello stesso periodo a Los Angeles), scrivere (ma senza metodo, sono ancora in una fase interlocutoria), nessun peso sulle spalle, contemplare senza dispiacere il sole che per un po’ non potrò prendere, lasciando che almeno qualche raggio mi accarezzi, attraverso la siepe del piccolo giardino. Uccelli che cinguettano, la gatta appagata dalla mia presenza costante. Il pensiero di come siano cambiate le cose rispetto a un anno fa. Anima e core. Anima e corpo.

Il controllo di ieri è stato sbrigativo, tolti i quattro punti, accertato che tutto va come dovrebbe andare, niente più cerotti, appuntamento tra tre mesi (che poi, andando a prenotare la visita, sono diventati quattro) per mettere in cantiere certamente un secondo intervento. Continuo ad essere abbastanza soddisfatta – l’abbastanza è dato dal gonfiore postoperatorio non ancora rientrato, e dal piccolo scavo molto ridotto, ma ancora presente –  anche se per il risultato vero  e stabile di questo primo lipofilling dovrò aspettare ancora qualche mese, dopo l’inevitabile riassorbimento di parte del grasso trapiantato. Ma intanto va bene così. Io sono contenta, e pure Lula e Sten lo sono, insieme a me.

Due è meglio che one

Il chirurgo plastico oggi ha esaminato la mia tetta operata e ha dichiarato che il mio è il caso ideale per intervenire con il lipofilling (in sostanza togliere grasso dove ce n’è abbastanza, trattarlo e iniettarlo nel seno, per colmare il volume mancante). E il risultato sarà eccellente, ha aggiunto. E non mi lascerà segni. In sostanza riavrò il quadrante perduto quattordici anni fa, e questo mi sembra meraviglioso. Sono stata euforica per tutto il giorno, anche se è stato fatto solo il primo passo. Perché serve una valutazione complessiva da parte dell’oncologo (ma Zeta verbalmente mi ha già dato la sua autorizzazione) e non me la caverò con un solo intervento, ma forse tre, per permettere alle cellule staminali di attecchire e realizzare il risultato migliore. Perché io voglio il risultato migliore, non per vanità, per un capriccio frivolo, ma perché rivoglio quello che il cancro mi ha tolto, visto che ora è possibile farlo, rivoglio quella parte così importante, bella e sexy di me. Non voglio più accontentarmi e considerare inevitabile tutto ciò che invece è evitabilissimo. Sono entrata in una fase di desideri e pulsioni vitali, sto ricominciando a sentirmi come credevo di non poter essere mai più.

E invece mai dire mai

 

Attimi di felicità

Ho dei momenti di vera felicità, sono qui, dove voglio stare, ho accanto chi voglio avere accanto, i sensi sono accesi e appagati, la mente riflette e progetta, sogno e immagino cambiamenti, capacità nuove, viaggi, spazi diversi, realizzazioni e costruzioni sempre più solide, ma leggere, vibranti. Storie meravigliose da raccontare e da vivere. L’idea che ogni desiderio è una possibilità da cogliere senza paura, e la nostalgia una preziosa irruzione del passato nel presente, per non far appassire i ricordi. Rabbia e rancore a poco a poco svaniscono, smettono di prendere a pugni il cuore, li archivio tra i sentimenti cattivi a cui non dare più udienza. Il trucco è utilizzare quei veleni per farne lenimento. E i trucchi non devono essere svelati.

Bilanci e auguri

Non posso dire che il 2013 sia stato un anno buono, anche se, rileggendo ciò che mi auguravo l’anno scorso, sono riuscita a portare a termine l’impegno di scrivere il libro e vederlo pubblicato. E se ho visitato per la prima volta una città straordinaria come New York, certo non nelle condizioni ideali, perché non c’era Sten e perché non stavo affatto bene. Covavo una specie di depressione premonitrice per la scossa che avrebbe subito la mia vita di lì a poco. La scossa poi c’è stata, ma la mia costruzione antisismica ha retto ed è stata l’occasione per ristrutturarla e renderla, spero, ancora più solida. Ho ritrovato quello che credevo di aver perduto definitivamente, ho scoperto di essere ancora come temevo di non poter essere più. Però, che fatica, che fatica, e che paura retroattiva, e che miscela pericolosa di sentimenti rabbiosi e addolorati, che ancora di tanto in tanto riaffiorano dal magma profondo che inevitabilmente continua a ribollire…

Non è stato un anno né facile né felice, anzi tristissimo, con il lungo addio ad Anna, Wide, concluso a fine novembre, un’altra morte prematura che mi ha insegnato cose importantissime sulla vita e su come prepararsi a lasciarla, quando non si può fare altrimenti. Una morte che mi ha portato via un’altra amica blogger, un’amica preziosa, anche se è stato troppo poco il tempo che abbiamo trascorso insieme. Ci eravamo dette tante cose, in questi anni, abbiamo fatto cose importanti, ci siamo capite come di rado le persone possono capirsi. Ma avremmo dovuto trascorrere più tempo insieme, visto che il tempo sarebbe stato poco.

È stato un anno di delusioni politiche profonde, di speranze infrante contro il muro di grilli, porcelli e delle larghe intese…

E ho avuto pure Saturno contro.

Eppure. Eppure nonostante tutto questi ultimi mesi dell’anno mi hanno regalato un’energia nuova, un’inaspettata – dovrei dire ingiustificata? – fiducia nel futuro, soprattutto nel mio futuro, perché certo su quello di tutti c’è poco da stare allegri, purtroppo.

Però l’unico impegno che voglio prendermi per il 2014 è seguire un corso di meditazione. In realtà è un impegno che ho preso con Anna, quindi lo manterrò.

C’è un’altra cosa che ho già promesso a me stessa e a tutti voi varie volte: con Scriverne fa bene ho chiuso con l’impegno e la scrittura relative al cancro. Scriverò ancora, è quello che voglio continuare a fare, perché è stata da sempre la mia aspirazione e perché credo proprio che la scrittura sia nel mio karma, come mi ha detto una persona cara giorni fa. Ma voglio scrivere altro. Devo pensare ad altro. Voglio trasmettere altro a chi ho accanto e a chi continuerà ad aver voglia di leggermi.

Questo è il mio augurio per me.

L’augurio vero per tutti voi è di non smettere mai di perseguire i vostri sogni, che siano piccoli, che siano folli, che siano apparentemente impossibili da realizzare. Con pazienza e tenacia, e con il cuore sempre aperto.

Buon 2014

 

 

 

Pedalando

Ho passato un periodo bruttino bruttino, come forse si è capito da quel poco che ho scritto ultimamente, però adesso va meglio, e sono contenta di comunicarvelo, che ve ne importi o meno. Sicuramente è stato d’aiuto il mio amico omeopata, le sue parole e il mercurius solubilis che mi ha prescritto. Mi dispiace non poter dire che mi abbia aiutato un po’ anche questo blogghetto amatissimo, anche se, come qualcuno di voi sa, in questo periodo mi sto occupando proprio delle sue virtù terapeutiche per un libro che sto scrivendo. Ancora? Ancora. In parte anche per questo ho passato un periodo così faticoso, perché mi sentivo prigioniera di una parte fondamentale, ma non esclusiva, per fortuna, della mia storia. Perché non sono riuscita a dire no alla proposta di scrivere ancora su questo tema, perché ho un senso del dovere grande come una casa, perché poi mentre ci lavoro mi entusiasmo, perché sono di una lentezza paurosa, perché le parole sono importanti, le scrivo, le cambio, le cancello, le ritrovo, le vado a pescare in quella miniera preziosa che sono i blog che ho scelto per testimoniare il valore di ciò che abbiamo definito blogterapia, e le mescolo con la mia libera traduzione dei saggi che sono andata a cercarmi qua e là, per ampliare l’orizzonte.

Ho iniziato ad andare in ufficio in bicicletta, non lo facevo da anni, e pure questo mi fa sentire meglio. Mezz’ora all’andata e mezz’ora al ritorno, senza pensare di “perdere troppo tempo”, sfidando la fatica e le salite, sentendomi libera di guardare il fiume, i ponti, godendo dei pochi tratti di pista ciclabile disponibili e a tratti parecchio malridotti.

(A proposito, spero che tra una decina di giorni a Roma possa cominciare una fase nuova, di liberazione da un’amministrazione che ha degradato questa povera, meravigliosa città.)

Sogni buoni

La notte scorsa ho sognato mio padre. Lo sto sognando spesso, recentemente. Sogni positivi, che non lasciano solo una scia di nostalgia struggente, ma una rinforzata percezione della sua presenza che mi carica e mi sostiene.  Come se continuasse a insegnarmi qualcosa, a ricordarmi come sono, e chi sono. Come se fosse tornato a riempire quel vuoto dove per due anni mi sono rifiutata di guardare, per non esserne risucchiata. Ora riesco a  guardare lo spazio della sua assenza, non mi fa più paura, perché se lo chiamo mio padre arriva, oppure si fa trovare lì, come nei sogni, e m’insegna a guidare il motorino.

Non sono a corto di sogni

Ho rimediato solo due vene rotte, un po’ di ematoma, e la felicità nel sentir ripetere dal radiologo Esse, mentre passava l’ecografo sul fegato insistendo dove la tac aveva rilevato i due millimetri di dubbia natura,  “qui non vedo proprio niente… No no, qui non c’è proprio niente di che.” Prima e dopo avermi fatto iniettare il liquido di contrasto dalle specializzande che, tanto per cambiare, sono sembrate impressionate dalla mia storia clinica.

Non lo nego, ho avuto tanta paura. Soprattutto mi spaventava la mia incapacità di ritrovare quell’attitudine mentale a cui in altri momenti cruciali ho fatto ricorso per fermare il disastro. Ho fatto cose che non si devono fare, come compulsare le statistiche, quasi con l’intento di trovare conferme alla mia preoccupazione.

Però stamattina mi sono portata dietro il Trattato di funambolismo di Petit, e quando ho letto questa frase: “I limiti esistono soltanto nell’anima di chi è a corto di sogni”, mi sono guardata dentro e ho capito che ce l’avrei fatta anche questa volta.


Come una funambola

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