Ieri ho iniziato a lavorare da casa visto che il lavoro agile (versione italiana dello smart working) è diventata, in questa fase di lotta al Covid-19, la modalità ordinaria in cui svolgere il rapporto di lavoro nella pubblica amministrazione e la biblioteca è chiusa al pubblico da lunedì scorso. A parte una bella scorta di libri, la maggior parte di quello che mi serve è accessibile in formato digitale, e poi non è stato difficile proporre altri progetti da realizzare a distanza. Un bel test per una nuova organizzazione del lavoro che anche in assenza di emergenze sanitarie può aiutare i risolvere problemi di mobilità, inquinamento, gestione familiare, stress.
Come prima giornata è stata faticosa, quasi più impegnativa dei giorni precedenti, tra grandi pulizie (anche l’aiuto domestico è stato sospeso), frenetici scambi di mail e messaggi con l’ufficio per trasformare i tre giorni previsti nell’intera settimana, un pochino di lavoro, spesa (una delle attività più complicate e stressanti di questi tempi) per di più senza carrello – perché? Boh, pensavo di prendere qualcosa per noi e qualcosa per mia madre, ma alla fine un po’ di sindrome ti prende, non tanto per il timore che finiscano le scorte, ma per allontanare il giorno in cui doversi sottoporre nuovamente a quello stress – breve visita alla mamma e consegna della sua spesa, nel frattempo una fame della miseria, credevo di aver fatto la furbata andando all’ora di pranzo, ma che, Lula poveretta mi aveva aspettata, e intanto si cimentava in prove di cucina che a cena si sono rivelate una deliziosa lasagna al pistacchio, mortadella e provola, noi due però abbiamo mangiato alle quattro del pomeriggio, più o meno. Sten invece lavorava ancora, ma quando è tornato, dopo gli opportuni lavaggi, è stato il momento del flash mob musicale, io flauto, Sten chitarra, Lula pentola e tamburello salentino. Bello, emozionante, l’inno di Mameli che risuonava dal palazzo di fronte, e per la prima volta mi ha commosso, e poi gli applausi, dalle finestre, dai balconi, noi dal giardino, dai passeggiatori con cani, i saluti, i bambini che chiedevano di farlo ancora: cantare, applaudire, salutarci. E oggi di nuovo, a mezzogiorno, neanche il tempo di affacciarmi e l’applauso e scattato, ancora più fragoroso e convinto. L’applauso per i medici e gli infermieri, i portantini, i volontari, tutti quelli che non si possono fermare, quelli che ci permettono di stare a casa e di poter presto uscire di nuovo, e ricominciare a toccarci, baciarci, abbracciarci, sfiorarci per strada senza paura.
Tra un po’ si ripete, alle 18 tutti fuori a cantare Azzurro anche se invece oggi il cielo e grigio e l’estate sembra davvero molto lontana.
C’è chi ironizza su questi gesti collettivi, ma sentirci più vicini nella distanza obbligata e nell’isolamento può solo fare bene.
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