Posts Tagged 'scrittura'

io sono una

Io sono una simpatica ragazza

Io sono una donna un po’ stanca

Io sono rimasta incastrata in uno spazio troppo stretto

Io sono lucida quando la mente è annebbiata

Io sono un’inguaribile romantica nascosta nelle vesti sgualcite dal senso pratico

Io sono una scrittrice che ha paura di non esserlo

Io sono una bibliotecaria esperta di indicizzazione semantica

Io sono una moglie amante amica appassionata

Io sono una persona responsabile. Troppo

Io sono una ex malata di cancro che è guarita grazie alla medicina e al dottor Zeta, alla scrittura e alla blogterapia, al qi gong, alla meditazione corpo-specchio, all’amore della mia vita, Sten, all’amore della mia vita, Lula, che cresceva e volevo vedere crescere, a mamma e a papà che non c’è più, a Cris sorella mia, alle amiche, alle amiche del cuore che non ci sono più, agli amici, alla gatta Pippi, che non c’è più, al cervello anarchico di Enzo Soresi, allo yoga che però non potevo fare quando le cellule facevano casino, alla testardaggine di noi torelle che non vogliamo darla vinta a chi ci vuol male

Io sono una e tante, mi piaccio e non mi piaccio. Però mi piaccio più di non piacermi

Io sono una che ricorda tutto, e non butta (quasi) niente

Io sono un’abitudinaria capace di reggere le mazzate che ti scaraventano altrove

Io sono un animale socievole, ma quanto mi piace il silenzio della solitudine, qui ora, nella stanza che Lula non abita più, la mia ragazza grande che vive per conto suo con il suo amore e due gatti

Io sono una che amava la bella politica, Enrico Berlinguer, il comunismo italiano. E adesso?

Io sono una che ha fatto scelte di cui si rimprovera troppo spesso

Io sono una che però, alla fine, trova il bandolo della matassa

[questo è un esercizio di Jack Effron, da Il libro di idee per la scrittura. Come superare il blocco della pagina bianca, Dino Audino, ed. 2013: fate una lista iniziando ciascuna voce con le parole “io sono un…”]

Tornare a casa

Dopo essermi tormentata per un certo tempo ho deciso di dare retta al cuore e ai consigli di chi mi conosce bene e smetterla di inseguire possibili cambiamenti lavorativi per placare l’insoddisfazione che periodicamente mi spinge a tentare nuove strade, con un dispendio di tempo e di energie che sottraggo a quella parte di me, più profonda e antica, che amava scrivere, che voleva scrivere.

E allora devo tornare qui, al blog che è la mia casa delle parole che ho abitato per anni, con le porte sempre aperte per chi vuole curiosare, conoscermi, andare a ritroso negli anni in cui la novità della scrittura in rete si è saldata con l’urgenza del racconto personale e quotidiano, fino alla messa a nudo dei dolori più grandi, delle ferite più profonde che via via, parola dopo parola, lembo su lembo, ricucivo e lenivo.

Ci sono state anche tante parole di bellezza e di felicità, c’è stata la vita così come la vivevo, giorno dopo giorno.

Ma no, non potrò mai più scrivere come facevo allora, con la stessa necessità. Sarà piuttosto un esercizio per sbloccarmi dopo aver fatto prendere aria e luce alla casa aprendo le finestre, spalancando bene la porta, e ticche tacche, ticche tacche, riga dopo riga, a lavare via la polvere che nasconde le parole.

Com’eravamo?

Mi capita sempre più spesso di ripensare con un certo struggimento al tempo in cui scrivevo quasi ogni giorno un post, raccontavo, mettevo nero su bianco le cose che pensavo, prendevo posizione, m’indignavo, scherzavo, esprimevo paure, rabbia, condividevo (quasi) ogni cosa, perché con le parole mi sembrava di avere una forza preziosa, capace di fronteggiare ogni tempesta, e impreziosire anche la più fragile delle felicità quotidiane. La scrittura era la cartina tornasole del mio mondo, e dei mondi con cui entravo in contatto, le altre esistenze che si manifestavano con parole, commenti pubblici, messaggi privati, mail, altri blog. Leggere, commentare, mantenere una certa riservatezza nelle identità, ricorrendo ai nickname, e poi magari fare il salto, e incontrarsi dal vivo, associare alle parole i volti, riconoscere un tono in uno sguardo e costruire amicizie, legami, supporti.

Mi manca quel periodo, mi manca quel modo profondo e accurato di raccontarsi, tessere relazioni e condividere interessi e destini, scoprendo le affinità, in poche righe. Mi manca la curiosità umana che ora sembra divorata dall’ansia social di approvare o disapprovare, seguire o ignorare, mostrare o cancellare.

In questi due anni avrei scritto centinaia di post su quello che ci stava capitando, a tutti, in tutto il pianeta.

Invece ho sentito rarefarsi ogni giorno di più l’urgenza di esprimermi.

Non so bene perché, invece, stasera mi trovo qui, a non voler staccare le dita dalla tastiera, a cercare di riprendermi almeno un po’ di quel tempo e di quella vita, quando esploravamo il mondo in rete con emozione e timidezza.

I miei diari

Conservo tutti i diari che ho avuto fin dai tredici anni. Diari, quaderni, talvolta con aggiunta di fogli volanti, privi di data, di cui ricostruisco l’occasione, il perché di quell’appunto volante.

Sono fortunata ad aver sempre resistito al pensiero che avrei dovuto liberarmene. Credo in realtà di non aver mai avuto realmente l’intenzione di farlo.

Sono fortunata perché quando periodicamente mi capita di rileggerne alcuni, riesco a sentirmi esattamente come mi sentivo allora, percepisco più intensamente la memoria di ciò che sono stata, i pensieri e le emozioni continuano a vibrare, le aspirazioni, i cambiamenti, le delusioni e le svolte che leggo, le sento ancora come i pezzi necessari a comporre la mia identità.

I quasi diciassette anni di questo blog sono stati in parte un’integrazione pubblica, ma certo non hanno nulla a vedere con la dimensione privatissima dei diari di carta.

Anche oggi, che scrivo così poco qui, non smetto di riempire diversi quaderni che talvolta dimentico di aver iniziato, e così il tempo s’interrompe, riprende, si dilata, si avvita, si ripete da una parte e da un’altra, spesso solo con l’intenzione di evitare che qualcosa della mia esistenza possa andare perduto, affidato solo ai capricci, alle contraddizioni, talvolta alla defaillance della mia memoria.

Sono fortunata ad avere i miei diari, la mia scrittura, le mie parole.

I libri ci salvano

L’ho imparato tra i diciotto e i diciannove anni, dopo aver letto tutti e sette i volumi della Recherche di Proust, per la tesina sul tempo e la memoria: l’arte, la letteratura, strappano le nostre vite all’oblio e la proteggono dagli assalti e dalla distruzione compiuti dal tempo. La salvano.

La memoria involontaria, quella memoria quasi fisica, fatta di odori e sapori, dei suoni di una sinfonia, di sensazioni che improvvisamente tornano a resuscitare il passato, ha il potere, se riconosciuta e trattenuta nel libro che si sta scrivendo, nell’opera che si sta realizzando, di ricostruire la realtà e renderla immortale.

Poco fa, leggendo la recensione di Paolo Di Paolo a un romanzo di Matt Haig, mi sono imbattuta in un’idea complementare a quella proustiana del libro che già esiste dentro ciascuno di noi e che viene portato alla luce, traducendolo, con la scrittura: l’idea certamente non originale, ma sempre affascinante, è che i libri contengono vite potenziali, tutte le vite che non abbiamo potuto o voluto vivere, consegnandoci quindi una seconda (terza, quarta, quinta…) opportunità, che esiste almeno finché esiste una biblioteca che conserva quel libro, e ci permette di leggerlo.

Nella recensione, e immagino nel libro recensito, c’è un riferimento alla metafora delle sliding doors (dal film bellissimo che si chiama appunto così) su cui mi capita spesso di ragionare, scrivere (anche in un recente post, a proposito di 4321 di Paul Auster) e immaginare in che modo renderla il motore di una storia da scrivere. Le occasioni mancate o colte nella vita quanto dipendono dall’istante in cui una porta si apre o si chiude, scatenando una serie di eventi apparentemente inevitabili? Cosa pesa di più: il caso, la volontà, o il destino? Oh, certo, farsi queste domande riguarda la filosofia, soprattutto se si è atei come me. Ma riguarda moltissimo anche la scrittura e la lettura. Le parole a cui aggrapparsi per dare senso all’insensatezza e salvarci da quei buchi neri di cui la vita è disseminata.

Libri per vivere la vita che abbiamo o non abbiamo vissuto, la vita che non è stata e che sarebbe potuta essere, quella che abbiamo ancora tempo per vivere, o almeno per immaginare.

Pensieri del quaderno giallo

Dal quaderno giallo, con qualche cambiamento, 26 settembre 2020.

Devo impormi, con disciplina, almeno un’ora di scrittura a mano.

Ho bisogno della penna che scorre sulla carta, senza affaticare gli occhi, di riconoscermi nella grafia che mostra ogni ripensamento o esitazione, l’inclinazione delle frasi, libere di sfuggire al controllo e all’ordine della tastiera e di un programma di scrittura.

Il cervello funziona meglio, il corpo, non solo le dita, è interamente coinvolto nel  processo.

In questi momenti, mentre scrivo su uno dei tanti quaderni o diari che ho riempito di parole da quando avevo tredici anni mi sembra di ritornare indietro nel tempo, quando la vita era ancora tutta da costruire e le scelte da fare avrebbero potuto cambiare il corso degli eventi e del mio futuro.

Eppure, come dice il protagonista di un romanzo di Paul Auster che sto leggendo, solo dio, per chi ci crede, può sapere se aver preso una strada invece di un’altra ci avrebbe fatto arrivare in tempo a quell’appuntamento che invece abbiamo perso. Noi no, non sappiamo se sull’altra strada avremmo trovato un altro rallentamento, un ostacolo che magari sarebbe stato ben più fatale di un banale ritardo. Non ci è dato conoscere il destino che ci è riservato e, soprattutto, non possiamo avere l’assoluta certezza che le nostre decisioni abbiano il potere di modificarlo significativamente.

E ancora: quando finisce il tempo utile per tornare sui nostri passi o, con uno scarto improvviso, cambiare direzione, lasciare la strada comoda, nota, per certi versi rassicurante, per quella più accidentata che s’inerpica verso l’ignoto regalandoci però quella scossa di emozioni che credevamo irrimediabilmente perdute?

Si tratta sempre di questo, destino e libertà, che ci accompagnano nel tempo dell’esistenza.

Ritorno al mio karma

Ecco, l’estate arrivata già da un mese, di questo anno bisestile e funesto.

Ieri, pedalando, pensavo a quanto ne avrei scritto, di Covid, pandemia, quarantena, mascherine, politica dell’emergenza, qui, anni fa. Quante riflessioni, istantanee, parole con cui costruire un senso.

Pensavo che sono invecchiata, e però non riesco più a dare parole al tempo che passa, alla vita personale che prosegue senza scossoni, ma con una scia di rimpianti che si portano dietro l’intera sequenza di eventi provocati da scelte che se non si fossero compiute, allora… Non sarebbe successo questo, e quest’altro e quest’altro ancora. E invece, se avessi deciso altrimenti, sarebbe potuto accadere questo e quest’altro e quest’altro ancora, fino alla dolorosissima presunzione (o colpevolizzazione) che avrei potuto evitare gli accadimenti più nefasti.

E invece no, reagisce con orgoglio la parte di me più sana, osservando amorevolmente ciò che ha di più caro. Le scelte compiute hanno determinato anche questo, che non cambierei mai. E poi non è ancora troppo tardi per rimettersi in gioco, percorrere strade nuove, rispolverare vecchi desideri, rianimarli, farli risplendere al sole di luglio.

 

Scriverne?

Mentre sfogliavo un blocco per appunti che ogni tanto utilizzo per scrivere a mano – un’abitudine che non ho perso, perché utilizzando carta e penna mi sembra che i pensieri fluiscano in modo più limpido – ho ritrovato gli appunti presi per la presentazione di Scriverne fa bene a Modena.

“La tesi del libro è che attraverso la narrazione di sé chi si ammala trova la voce giusta per descrivere l’esperienza vissuta, ritrovare l’orientamento e tracciare una nuova rotta per uscire dal naufragio.”

“La parola è un filtro che permette di esibire le proprie ferite e fragilità senza scandalo o vergogna. La parola mi protegge e mi apre al mondo. Per questo scriverne fa bene. Soprattutto attraverso un blog, in rete, in tempo reale.”

La notte prima di questo ritrovamento avevo sognato che il cancro tornava, e che il dottor Zeta, ormai in pensione (che è vero, ma per l’emergenza Covid ha ricominciato a lavorare) stavolta mi avrebbe affidato a un suo collega.

Non ero troppo spaventata, anche perché Zeta mi spiegava che la prognosi era positiva grazie al fatto che mio padre aveva avuto lo stesso tipo di patologia, e nel sogno era ancora vivo. Evidentemente ho mescolato la possibile ereditarietà di una malattia oncologica con l’immunità che si sviluppa contraendo un virus.

Non so perché sto mettendo insieme queste due cose: la funzione delle parole, e le paure che abitano i miei sogni.

Certamente in questo periodo in cui mai si è parlato e scritto così tanto di malattia, salute, cure, guarigioni, ospedali, servizio sanitario pubblico, è inevitabile per me confrontare le due condizioni, quella del cancro, che conosco, e quella di una pandemia che sta sconvolgendo e ha sconvolto il mondo intero.

Anche in questo caso le parole, la scrittura, la narrazione, potranno aiutare chi si è ammalato ad attraversare la tempesta e ridisegnare la mappa per orientare una nuova esistenza?

I fantasmi a cui dire addio

Ancora non avevo avuto voglia di scrivere il primo post del nuovo anno, anche perché la fine del 2019 è stato un periodo faticoso, tensioni e preoccupazioni di varia natura che si sono allentate grazie a un lungo e necessario periodo di ferie. Anche le splendide giornate di sole e cielo azzurro, che solo oggi la pioggia ha interrotto, hanno contribuito a migliorare l’umore, a godere della vita che ho, delle persone che mi circondano, della capacità di continuare ad avere progetti e prospettive nonostante gli inciampi, le delusioni, e tutto l’apparato soffocante di rimpianti.

Ma stamattina ho finito di leggere un libro bellissimo, Addio fantasmi di Nadia Terranova, un libro che mi aspettava da quando ho letto la conversazione avvenuta tra l’autrice e la scrittrice francese Annie Ernaux.

terranova

Quando di un libro ti appunti delle frasi, le rileggi a voce alta, le ripeti dentro di te fino a impararle quasi a memoria, significa che quelle frasi dicono delle verità che sono anche tue, verità che per quanto dolorose danno senso al dolore, lo leniscono, insegnano a lasciar andare le ossessioni, a colmare i vuoti lasciati da un’assenza, accettandola, perché “la vita non si fa con i residui, con quello che ti tieni come scorta. Non ne hai un’altra di ripiego, dove mettere le cose che non fai.”

E ancora: “Nessuna risposta può placare i sopravvissuti. Esiste un armadio pieno di risposte diverse che i vivi si misurano a seconda della giornata […] Ma una vita parallela non c’è da nessuna parte, non esiste niente se non quello che è esistito.”

La vita è un istante, ein Augenblick, e le decisioni rimandate possono diventare decisioni mai prese, destini irrimediabilmente segnati.

“… doveva aver rimandato la scelta ritenendo di avere davanti a sé un calendario illimitato, di poter godere del tempo necessario per poter mettere le cose a posto; ma la vita è ein Augenblick, l’irregolarità è la sua unica regola, i fatti scorrono accanto a noi mentre ci illudiamo, un giorno, di dominarli. Ecco perché mi rifugiavo nelle mie finte storie vere: su di loro esercitavo una signoria assoluta. Di quello che scrivevo ero sovrana.”

Ecco, forse, perché dopo aver finito di leggere questo libro ho sentito il bisogno di tornare qui, nel blog dove oltre quindici anni fa ho iniziato a raccontarmi: per non dimenticare che la scrittura è anche il luogo dove provare a riparare le cose rotte della nostra vita, che altrimenti non si aggiustano più.

 

 

Parole in libera uscita

Ti ho incontrato a piedi nudi nel parco.

Ti ho lasciato sulla strada sterrata.

Nascono le viole da una folata di piena estate.

Da quando non ho più la voce, il mondo mi sfugge.

Ricorda quando la vita grondava tempo e il tempo prometteva vita.

Ricorda.

Immagina d’immaginare l’inimmaginabile, e costruiscilo.

Una carezza, uno sguardo, il tono di voce che cambia improvvisamente. Il silenzio mentre respiri.

So Hum, io sono quella che sono.

Inspira, espira, trattieni, libera, esplora, raccogli, dona, ama, lotta, fai pace, ridi, piangi, cresci, cambia, resta come sei.

Dimentica il dimenticabile, e abbi cura di te.

[esperimento di scrittura automatica, in cinque minuti, con minime correzioni]


Come una funambola

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