Oggi (ieri ormai) ho festeggiato i novant’anni di mia suocera e i diciassette della mia cicatrice ombelico-sterno risultato dell’asportazione delle metastasi epatiche. E pure i settantuno del mio ex psicoterapeuta, che ha curato la mia mente quando la depressione post-partum l’aveva avvolta in una nebbia fitta di angoscia.
Ho avuto cura di questa cicatrice fin dall’inizio, le ho voluto bene, mentre lo sbrego del seno, sei anni prima, l’ho detestato perché era davvero orrendo, e ha avuto bisogno di interventi migliorativi, fino ai lipofilling risolutivi e benedetti. Rappresentava la parziale mutilazione di una parte del mio corpo che amavo molto e che non riconoscevo più.
Ora invece amo anche quel capolavoro fatto dai chirurghi plastici per restituirmi almeno un po’ di quanto mi era stato tolto.
Ma questa che festeggio oggi, lunga e sottilissima, continuo a vederla come il segno di una liberazione dal mio male, il segno della guarigione e della vita che ricomincia. Non posso che amarla.
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