L’inconcludenza di una fredda domenica di dicembre, pre-natalizia, post nottata trascorsa a bonificare il letto di Lula da qualche etto di cibo “rimesso”, diciamo così.
Ore 4, Lula entra nella stanza di mamma e papà: “mamma… mamma? MAMMA!” [Perché non abbia chiamato papà, papà? PAPA’! è questione sociologico-culturale che non voglio affrontare]
Mamma strappata al sonno sognante: “mmmh… che c’è?”
“Ho la nausea. Mi viene da vomitare, ma non ci riesco.”
(Antefatto: la compagna di banco ha avuto lo stesso problema, in forma acuta, un paio di giorni fa. Vivendo le fanciulle in simbiosi era ovvio attendersi lo stesso fenomeno…)
Mamma cerca di mettere insieme i neuroni scomposti, si alza, rassicura la figliola, consulta il prontuario di medicina omeopatica, barcollando va a cercare il rimedio giusto, che aveva testato con risultati straordinari quando doveva fronteggiare gli effetti della chemio. Dubbio tra due rimedi, nella confusione sembra più appropriata la nux vomica.
“Prendi tre granuli, respira nella pancia, cerca di dormire. Buonanotte tesoro.”
Mamma ancora con i neuroni smidollati si dimentica di predisporre “qualcosa” nell’eventualità che la creatura vomiti.
E la creatura, effettivamente, dopo un’oretta trascorsa a dormire senza più nausea (la nux ha funzionato!) si libera di un paio di pasti (o forse tre?) sulle lenzuola, copripiumino, coperta di cotone, materasso, tappeto, pavimento, bagno…
Mamma fatica un po’ a decidere da dove iniziare per non peggiorare la situazione, nel dubbio spedisce Lula a svegliare il papà ignaro di tutto, che magari tutti insieme si fa prima, i neuroni cominciano a funzionare meglio, il rimedio giusto per i problemi di gastroenteriti virali è l’arsenicum album.
Papà dà il suo contributo alla bonifica ambientale, Lula prende le tre pilloline magiche, dichiara di sentirsi molto meglio e torna a letto, la lavatrice parte, la gatta è in fibrillazione vedendo tutto quel movimento alle cinque del mattino, ma nessuno se la fila.
Con tutta la buona volontà, andare a brindare col mio amico quarantenne è l’ultima cosa che riuscirei a fare. Ma lui lo sa che gli voglio tanto bene. (Ci conosciamo da trentaquattro anni, più o meno.)
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