Posts Tagged 'cinema'

Avatar 2

È stato il mio film di Natale, anche se non morivo dalla voglia di vederlo nonostante avessi molto amato il primo.

E infatti questo secondo mi ha lasciato diversi dubbi – il sequel non è mai l’originale – anche se l’ambientazione marina e gli effetti del tridimensionale sono davvero magnifici.

Restano i temi ecologisti, il rispetto per la biodiversità e il valore delle mescolanze tra culture, meno la radicale critica antimilitarista, anzi.. E soprattutto è difficile per i neofiti capire la vicenda precedente che aveva portato l’avatar di un ex marine a metter su famiglia sul pianeta ecosostenibile insieme alla figlia del capo dei Na’Vi fino a diventare egli stesso il leader del gruppo.

Il motivo che riporta l’avatar del colonnello e i suoi scagnozzi sul pianeta Pandora, Eden dalla natura rigogliosa in perfetto equilibrio con chi la abita, sembra più una brutale vendetta personale che la solita strategia colonialista di depredare e distruggere altre civiltà per arricchire e preservare la propria.

Su Pandora la natura è rispettata grazie a Eywa, la grande madre che tiene connessi tutti gli esseri viventi, i Na’Vi, alti, blu, occhi enormi, orecchie a punta, nasi un po’ schiacciati, muscoli affusolati ed elastici, con altri animali, pesci, piante, l’acqua e l’aria.

Ma questo secondo film è centrato sulla “famiglia”, anche se allargata, con figli nati o adottati in modi diversi, meticci, ribelli, reietti, consapevoli che sono genitori quelli che cercano di essere tali, non necessariamente se ti hanno generato. Bello, giusto.

Molto meno il concetto di famiglia fortezza del finale, come se fosse impossibile vivere se non in qualche genere di clan familiare, protettivo e accogliente, anche se talvolta è sano disubbidire ai padri, soprattuto se tentano di imporre un’educazione militare a ragazzi abituati a scorrazzare per la foresta.

L’importanza dell’inclusione è troppo annebbiata dal fragore di armi anche se, alla fine, ma non voglio spoilerare, non saranno loro a salvare Pandora.

Per non dimenticare Genova

Quando c’è stato il G8 a Genova, nel 2001, mi godevo il mare di luglio con Lula piccoletta. Ricordo esattamente in quale delle spiaggia che frequentavamo lessi le cronache sconvolgenti sull’irruzione alla Diaz, che mi trasportarono in un’allucinante atmosfera che in molti hanno definito da dittatura sudamericana e che Amnesty International ha denunciato come la più grave sospensione dei diritti in un paese occidentale.

Ieri, al Teatro Valle occupato, un grande esperimento di gestione democratica di un bene culturale comune, è stato proiettato il film “Diaz”, di Daniele Vicari, che ancora non avevo visto ed ero in dubbio se voler vedere, immaginando la violenza delle scene, in parte anticipata dal trailer.  Invece l’ho visto, com’era giusto fare. Perché sì, certo, già sapevo cos’era accaduto, avevo letto e sentito tante testimonianze, e le cronache giudiziarie del processo che si sta concludendo in Cassazione. Ma vedere, anche se sotto forma di ricostruzione cinematografica, quello che realmente è potuto accadere undici anni fa a un centinaio di ragazze, ragazzi, donne e uomini inermi, serve a tenere ancora alta l’attenzione su quella storia per la quale dovremmo tutti esigere giustizia. Dovremmo ribellarci alle brillanti carriere fatte dai responsabili di quella “macelleria messicana”, al fatto che delle centinaia di agenti responsabili di tanta violenza i pochi imputati rischino condanne minime e prescrittibili, visto che il reato di tortura nel nostro codice nemmeno esiste, e che, invece, dieci manifestanti sono stati condannati per devastazione e saccheggio a pene che arrivano fino a dieci anni. (Su questo processo, che arriverà il 13 luglio in Cassazione c’è un importante appello da firmare:  http://www.10×100.it)

Un film come “Diaz” raggela ma scuote, impone di non distogliere gli occhi di fronte a quella violenza fascista. Perché di violenza fascista si è trattato. E come tale dovrebbe essere perseguita e condannata.

 

Ora scrivo un bel post

E’ da giorni che mi dico, ora scrivo un bel post. Ora scrivo, come facevo un tempo, delle cose che mi sono successe e che ho fatto, della Sinfonie n. 4 e n. 5 di Beethoven dirette da Masur a cui sono andata con la mi’ mamma, del fatto che ovviamente abbiamo incontrato il musicalmente dottissimo dottor Zeta, e che fuori, nella cavea dell’Auditorium, si ballava il tango, della stanza di Lula dipinta di rosa – e non è male, non è affatto male – del festeggiamento per le nozze d’oro degli zii – urca! per arrivarci io e Sten dovremmo campare rispettivamente fino a 88 e 98 anni, se non si divorzia prima – e di quanto fossimo tutti felici perché c’era anche papà, che tra un paio d’anni lui sì che sarà lo sposo d’oro, del film della Coppola Somewhere, che insomma, mi ha lasciato freddina, dell’eccessivo cincischiamento su certi dettagli del mio libro, che s’intitola – anticipazione! – no, no, meglio aspettare.
Ecco, ho scritto un post. Bello no, ma non si può avere tutto dalla vita, di questi tempi.

Ipazia

agora

In un cinema piccolo piccolo, il Dei piccoli di Villa Borghese, ieri ho visto un film grande, Agorà, che racconta la storia atroce e per molti aspetti attualissima della filosofa e matematica Ipazia, trucidata nel 415 d.C. dai monaci parabolani istigati dal vescovo di Alessandria Cirillo.

E’ un film bellissimo, sicuramente con qualche inesattezza o licenza rispetto alla verità storica, ma che rappresenta lucidamente quale spirale di violenza brutale sia stata innestata in nome delle religioni e quanto insanabile sia sempre stato il contrasto tra la libertà del pensiero e la verità dogmatica della fede. Quanto sia inconciliabile la scienza che ricerca criticamente le risposte alle domande della filosofia con il furore teologico che rende il dubbio una potenziale eresia.
“Voi non potete mettere in discussione quello in cui credete. Io devo.” Dice Ipazia a chi tenta di convincerla alla conversione.
Mettere e mettersi in discussione. Criticare il sistema tolemaico, per esempio. Sperimentare. Aprire la mente e nutrirla di ipotesi, confutazioni, scoperte e osservazioni.
Oh sì, questo film ci voleva. Bisognava ricordare che le donne erano scienziate,  filosofe e matematiche, insegnavano e discutevano, prima di essere zittite per secoli e relegate al solo ruolo di madri – o di sante.
Ipazia, nostra martire laica.

Una giornata

Faticosamente mi sto abituando all'orario di lavoro "normale", senza le due ore quotidiane di permesso 104. Faticosamente. Oggi dopo anni ho fatto addirittura la chiusura: prendi busta sigillata contenente chiavi principali, prendi chiavi del magazzino, chiudi bacheca, metti i tre oggetti in un'altra busta, scrivici che ci sta dentro, sigilla, spilla, sigla i lembi, dai una controllata in giro che non ci sia qualche maniaco nascosto tra gli scaffali, o un vecchio studioso addormentato sui volumi, o qualcosa di anomalo che possa essere normalizzato da te, passa il badge, firma – sì, bisogna pure firmare, anche se c'è il badge, esci, fermati dai carabinieri che presidiano il palazzo, consegna la busta, firma, metti l'orario e via. Fuori. Sperando di aver fatto tutto bene e di non ricevere la terribile domanda, domattina: Hai chiuso tu ieri?

A casa ho trovato Lula, supportata da mia madre, che preparava una sorpresona golosa per Sten, visto che domani è la festa del papà. Ho aiutato nel finale, approfittando per leccare residui di crema pasticcera e cioccolata fusa. L'ho convinta a festeggiare stasera, e non domattina alle 7 che si va tutti di corsa. Così Lula ha chiamato il padre in ufficio e gli ha chiesto quando preferisce essere festeggiato. Anche lui è stato d'accordo nell'anticipare.
Bene.
Ho preparato la cena col poco che ho trovato in frigo: peperoni in padella e petti di pollo infarinati con formaggio e prosciutto.
Un orecchio al tg, tanto per rovinarsi l'appetito.
Ma conservo ancora il buon umore provocato dal film che abbiamo visto ieri in dvd L'uomo che fissa le capre, e il sapore poetico delle parole del racconto Il peso della farfalla di Erri De Luca, che ho letto ieri mente aspettavo che Lula finisse di danzare.

E' ora di cena. State bene.  

AVATAR

 Avatar mi è piaciuto moltissimo. E non solo perché è il più straordinario spettacolo cinematografico mai visto prima.
La filosofia della natura, la critica antimilitarista e anticolonialista espressi dalla storia della difesa di Pandora dalla distruzione e dalla depredazione vale quanto la meraviglia delle immagini della foresta, la bellezza dei Nativi e gli effetti speciali in 3D. 
Mi sono innamorata di quei lunghi corpi blu con i nasi schiacciati, la coda e le gli occhi enormi.
avatar-neytiri

PER CHI E’ ANCORA IN BATTAGLIA

 

Dopo i baci e gli abbracci con l’infermiera Giovanna, la caposala Anna e con l’ematologo, il dottor A., mi sono messa ad aspettare fuori della stanza di Zeta, indecisa se bussare prima dal dottor Esse per salutarlo.
C’erano due signore che mi fissavano, una diceva all’altra "è lei, è lei". Allora le ho guardate meglio, una non riuscivo a riconoscerla, l’altra invece mi ha puntato due occhi inconfondibili, bellissimi, chiari. Però aveva una parrucca diversa, sempre bionda, ma più lunga. Molti, troppi, chili di meno. Ma sempre bella, curata, sorridente. 
"Rosanna!" Ho esclamato. 
Me la sono stretta forte. Ci siamo strette forte. Ho salutato la sua amica, anche lei una paziente di Zeta che però sta benone da anni, niente recidive, era lì solo per accompagnare Rosanna alla sua ennesima seduta di chemio.
Rosanna con un filo di voce, per un problema alle corde vocali. Un problema stupido, rispetto a tutti gli altri: le metastasi con cui combatte da quattro anni. Allora ai polmoni e alla spalla, poi al cervello, fermate dalla radioterapia, e poi il fegato, e poi ancora le ossa. Ma combatte, sorride, e resiste. 
Abbiamo potuto parlare poco, un po’ perché non volevo che sforzasse la voce, e poi perché è stata chiamata, toccava a lei. Un altro abbraccio, la promessa di chiamarci.
Il tempo di fare ancora qualche chiacchiera con la sua amica, e poi dentro, da Zeta. Ad aggiornare la cartella, rifare i piani terapeutici scaduti, scrivere il certificato per l’imminente visita di revisione dell’invalidità e della legge 104.
Sapeva che avevo visto e amato il film La prima cosa bella, e lui invece, da medico, ha considerato assurdo il modo di rappresentare una malata terminale (la Sandrelli). Ma sì, certo, nessuna malata terminale è così, purtroppo. Ma il film è una commedia, e il personaggio richiedeva quella vitalità, fino alla fine.

Prima di andarmene ho incontrato anche il dottor Esse, affezionato lettore (e commentatore) del blog. Da lui ho saputo che vogliono spostare la farmacia che prepara i chemioterapici all’ospedale San Camillo. Questo significa rendere ancora più complicata la vita del day hospital oncologico, quasi a volergli infliggere un colpo letale. Dell’ex San Giacomo ormai non parla più nessuno, se non per continuare a promettere riaperture in forme sempre diverse. 
Le candidate a Presidente della Regione Lazio, Bonino e Polverini, non hanno ancora speso una parola sulla questione. Ma tanto ciò che conta davvero non sono le eventuali promesse, ma quello che verrà fatto subito dopo le elezioni. Intanto però non sarebbe male se ci fosse almeno un progetto chiaro sulla disastrata sanità laziale.

 

PACE AMORE E MUSICA

Ci è scappato anche il cinemello domenicale, concesso dalla tossicchiosa Lula che ha declinato anche il nonnisitteraggio perché aveva da "portarsi avanti" i compiti per la prossima settimana. Dovevamo vedere Lebanon, anche se io ero un po’ riluttante a ricevere pugni nello stomaco in questi giorni di bad mood. Per fortuna erano finiti i posti buoni e così l’ho spuntata con Motel Woodstock di Ang Lee. Era esattamente il film che ci voleva per tirarmi sù: una divertente e inconsueta rievocazione del mitico festival musicale hippy del 1969, attraverso la storia di Elliot e del motel che gestisce insieme ai suoi genitori e che riuscirà a trasformare nel centro organizzativo del raduno. Il palco praticamente non lo vediamo mai, e nemmeno il concerto. Tutto ruota attorno alle dinamiche familiari e sociali su cui l’evento fa da detonatore.

Niente pugno nello stomaco, ma carezzina al cuore…

IMPEGNO E DISIMPEGNO

Poi alle primarie ci sono andata, titubante fino all’ultimo su chi avrei scelto come eventuale segretario di un partito di cui non posso dirmi fedele elettrice. Lo so, un po’ l’ho ingannati, ma se queste sono le regole io ne approfitto. Mi sento un po’ schizofrenica, visto che il PD ancora deve ri-conquistarsi il mio voto, (e devo dire che l’affaire Marrazzo mi ha tolta dall’impaccio, visto che avrei avuto serie difficoltà a rivotarlo per la Presidenza della Regione Lazio), sono contenta che alla fine abbia vinto Bersani, ma quando stavo lì, in fila (piccola fila, quartiere di destra), ho ripensato alla vicenda Englaro e all’impegno di Marino per il testamento biologico. Allora la matita m’è andata in modo automatico lì. Un voto per la laicità, che spero diventi davvero patrimonio genetico di questo partito.

Ieri sera abbiamo visto, in versione casalinga, un film bellissimo, che consiglio caldamente a chi se lo fosse perso come noi: I love Radio rock di Richard Curtis, basato sulla vera storia della radio pirata inglese, Radio Caroline che negli anni ’60 trasmetteva rock’n roll da una nave al largo del Mare del Nord, sfidando le leggi del Regno. Divertente, commovente, esaltante, con il solito grandissimo Philipp Seymour Hoffman nei panni del Dj Conte e Kenneth Branagh in quelli del detestabile ministro che dichiara guerra alla radio del rock e del libero amore.

COSMONAUTA

Basta la prima scena, con la piccola Luciana vestita di bianco in fuga attraverso i campi per sfuggire alla sua prima comunione, per fare di questo film un piccolo gioiello. 

FGCI del Trullo nel 1963 (Luciana)… FGCI di Mazzini nel 1983 (io). Vent’anni di separazione tra due mondi completamente diversi, guerra fredda e competizione per la conquista dello spazio da una parte, fine della spinta propulsiva e antimilitarismo contro i due blocchi dall’altra, antisocialismo come comune denominatore…

Eppure, anche vent’anni dopo, si facevano gli attacchinaggi notturni e la diffusione dell’Unità porta a porta la domenica mattina!

Non mi piace fare le recensioni, lo sapete, quindi basta dire questo: è un film sull’educazione politica e sentimentale di una quindicenne, orfana di padre comunista e sorella di un ragazzo epilettico fissato con i successi spaziali sovietici. E’ un film sulla difficile strada verso l’emancipazione femminile nei primi anni ’60 e sulle resistenze opposte anche dai "compagni". E’ un film po’ nostalgico, ironico, politico e vagamente surreale.

 E’ piaciuto molto anche a Lula, che all’inizio storceva il naso perché nella sala accanto c’era L’era glaciale 3.

 


Come una funambola

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