Apeirogon

Ho impiegato molto tempo a leggere Apeirogon di Colum McCann in lingua originale. Anche per la fatica e la frustrazione di leggerlo in questo periodo, mentre Gaza e la sua popolazione civile veniva bombardata da Israele in risposta alla strage terrorista di Hamas e al rapimento di oltre cento israeliani il 7 settembre 2023.

Apeirogon. Un poligono dai lati infinitamente numerabili.

1001 paragrafi (come i 1001 capitoli delle Mille e una notte) per raccontare le infinite sfaccettature della tragedia dell’occupazione israeliana della Palestina attraverso la storia – vera – di due padri, il palestinese Bassam e l’israeliano Rami, uniti nel dolore e nel tentativo di costruire un percorso di riconciliazione tra i due popoli, raccontando in giro per il mondo la storia di Smadar, saltata in aria a tredici anni per un attentato suicida palestinese in un centro commerciale nel 1997, e di Abir, dieci anni, colpita alla nuca da un proiettile di gomma sparato da un poliziotto di frontiera mentre usciva da un negozio per comprare una caramella a forma di braccialetto.

Bassam e Rami hanno rifiutato di trasformare quel dolore immane in altra violenza, convinti che la vendetta generi solo altro dolore, che la violenza non possa che moltiplicare violenza, in una spirale, iniziata ancora prima della nascita dello Stato di Israele, che deve essere interrotta.

Ma se Israele non metterà fine all’occupazione dei territori palestinesi non ci sarà via d’uscita, sostengono Bassam e Rami: ci saranno altre Smadar, altre Abir, altre morti, vendette, rappresaglie, altre guerre, il disconoscimento dell’umanità dell’altro, la spirale dell’odio e della violenza avvitata inesorabilmente, senza fine.

Bassam spiega come l’occupazione condizioni ogni momento della vita: ti priva di ogni prospettiva, non puoi camminare, guidare, andare al mercato, alla spiaggia, senza essere fermato, t’impedisce pure di raccogliere un’oliva dal tuo albero perché è dall’altra parte del filo spinato. Non puoi nemmeno guardare il cielo. “They own the air above and the ground below.” Hai bisogno di un permesso per seminare la tua terra. A sette anni puoi essere prelevato da casa tua e interrogato. Provate a immaginare, proviamo a immaginare.

“I know that it will not be over until we talk each other,” dice Rami, che con sua moglie ritengono Netanyahu il vero responsabile della morte di Smadar.

Netanyahu, i coloni, l’occupazione, i muri. Vendette, rappresaglie, terrore.

Non finirà finché non ci parleremo. Non ci riconosceremo nell’unica strada possibile per vivere in pace.

Finché non verranno abbattuti i muri e spezzata la spirale catastrofica che oggi, ancora più di ieri, conferma la necessità di quella strada.

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