Mi capita sempre più spesso di ripensare con un certo struggimento al tempo in cui scrivevo quasi ogni giorno un post, raccontavo, mettevo nero su bianco le cose che pensavo, prendevo posizione, m’indignavo, scherzavo, esprimevo paure, rabbia, condividevo (quasi) ogni cosa, perché con le parole mi sembrava di avere una forza preziosa, capace di fronteggiare ogni tempesta, e impreziosire anche la più fragile delle felicità quotidiane. La scrittura era la cartina tornasole del mio mondo, e dei mondi con cui entravo in contatto, le altre esistenze che si manifestavano con parole, commenti pubblici, messaggi privati, mail, altri blog. Leggere, commentare, mantenere una certa riservatezza nelle identità, ricorrendo ai nickname, e poi magari fare il salto, e incontrarsi dal vivo, associare alle parole i volti, riconoscere un tono in uno sguardo e costruire amicizie, legami, supporti.
Mi manca quel periodo, mi manca quel modo profondo e accurato di raccontarsi, tessere relazioni e condividere interessi e destini, scoprendo le affinità, in poche righe. Mi manca la curiosità umana che ora sembra divorata dall’ansia social di approvare o disapprovare, seguire o ignorare, mostrare o cancellare.
In questi due anni avrei scritto centinaia di post su quello che ci stava capitando, a tutti, in tutto il pianeta.
Invece ho sentito rarefarsi ogni giorno di più l’urgenza di esprimermi.
Non so bene perché, invece, stasera mi trovo qui, a non voler staccare le dita dalla tastiera, a cercare di riprendermi almeno un po’ di quel tempo e di quella vita, quando esploravamo il mondo in rete con emozione e timidezza.
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